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Intervista a Jean Fabre / Il persistere della povertà in un mondo di abbondanza…

DI –  nel corso della sua impressionante carriera, Lei si è sempre impegnato a favore di nobili cause. Da dove viene questa sua motivazione ?

JF – Forse, per aver avvertito molto presto l’ingiustizia delle disuguaglianze di fatto, essendo io nato in una famiglia modesta  da genitori sordi. Sin dall’infanzia sono stato confrontato all’esclusione  legata alle condizioni di nascita o allo status sociale, alla possibilità di sormontare quello che ci handicappa e alla necessità di essere aperti e disponibili per prendersi cura gli uni degli altri. Ho sempre visto i miei genitori aiutare gli altri che, più di loro, erano in difficoltà. Peraltro, avevo 20 anni quando è esploso il dramma del Biafra. La fame ha ucciso più della guerra. Impossibile restare senza fare niente. Un impegno che non mi ha mai più lasciato. Da allora si è rafforzato perché io faccio parte della prima generazione della storia che, assieme a straordinari progressi, lascia ai propri figli una situazione peggiore di quella ereditata dai propri genitori con il cambiamento climatico e la perdita di una buona parte della biodiversità. E’ necessario rettificare tutto ciò d’urgenza. Per amore per loro.

 

DI – Cosa si dovrebbe fare per far si che ogni essere umano possa mangiare a sazietà ?

JF – Non è il cibo che manca ma l’accesso al cibo. Il problema è il persistere della povertà in un mondo di abbondanza. La povertà non è una fatalità legata al luogo di nascita ma il risultato di una concezione cinica dell’economia mondializzata, strutturata per facilitare la speculazione e l’accaparramento delle ricchezze, e  giocare sulle disuguaglianze invece che per prendersi cura di ogni essere umano.

 

Se ci fosse una ripartizione equa della produzione mondiale, ogni  individuo (inclusi i bebè) disporrebbe di un potere d’acquisto mensile di 1600 dollari. Con l’ONU, le sue agenzie specializzate, i suoi fondi e programmi, quali la Banca Mondiale, l’FMI e altri,  siamo attrezzati per mettere in comune le risorse e le competenze necessarie per sormontare le carenze locali di ogni genere. Tuttavia, si raccoglie solo quel che si semina : nel 2020 l’aiuto pubblico dei Paesi ricchi per lo sviluppo dei Paesi meno vantaggiati resta lontano da quel 0,7% del PIB che dovrebbe essere devoluto sin dal 1975, come richiesto dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1970. Peraltro, non c’è accordo all’OMC per rendere equo il commercio internazionale. E’ anche necessario mettere fine ai conflitti armati che cancellano in poco tempo decenni di lavoro umano. Gli Stati, le imprese e gli individui si devono mobilitare per mettere in opera l’Agenda 2030, come è nelle nostre capacità, invece di perdersi in rivalità deleterie i cui risultati sono sotto i nostri occhi. Non c’è una carenza di idee e di mezzi ma di fraternità.

 

DI- La crisi sanitaria mondiale che stiamo attraversando cambierà le mentalità ?

JF- Dipende da ciò che ognuno farà e da quello che lascerà fare oltre che dalle lezioni che ognuno trarrà dal proprio vissuto. La storia ci insegna che gli shock traumatici provocano tre tipi di reazioni : il desiderio di solidaretà per mitigare le nostre vulnerabilità, correggere collettivamente i nostri errori e prolungare la felicità di fare del bene. All’opposto, il ripiegarsi su se stessi, dettato dalla paura che inasprisce nazionalismi  e razzismi, divide gli umani e impone misure liberticide in nome della sicurezza. Il terzo è quello di ritrovare, al più presto, lo statu quo o di cogliere l’occasione per realizzare profitti da questo stato di cose il che irrigidisce le logiche che hanno portato al disastro. Le tre opzioni sono digià in opera a diversi livelli.

 

I fatti ci daranno i risultati. Prendiamo un esempio. Di fronte ad una urgenza sanitaria che minaccia, senza distinzioni, la famiglia umana, è vergognoso che delle imprese siano in competizione per brevettare una cura o un vaccino in un ottica di profitto.  Che si tratti del settore privato o della ricerca universitaria su fondi pubblici, il cambiamento di mentalità consisterebbe a condividere tutto a livello mondiale : il sapere, le scoperte, i laboratori, le esperienze, l’esonerazione dai dividendi sulle tecniche e i prodotti utilizzati per questo tipo di ricerca  etc. Il tutto al fine di ottenere un brevetto pubblico comune, universale e gratuito e organizzare la messa a disposizione dei rimedi a tutti gli abitanti della Terra. Lo stesso ragionamento vale per le priorità di bilancio che hanno un impatto sulle attrezzature ospedaliere, per le misure che riguardano la qualità dell’aria, per il cambiamento climatico, per la solidarità sociale, etc.

 

DI- Quale insegnamento Lei trae da questa crisi ?

JF- In primo luogo, quello che tutti hanno capito, cioè che ovunque i dirigenti possono prendere in un attimo misure che pensavano impossibili. L’utopia non è altro che la distanza tra quello che possiamo fare e quello che osiamo fare. Dunque, osiamo la fraternità! Osiamo mettere l’essere umano e la natura, della quale fa parte, al centro di tutte le nostre decisioni.

 

In secondo luogo, che ormai, noi abbiamo un dovere di discernimento. La nostra generazione vive le trasformazioni più rapide, le più intense e le più profonde di tutte le generazioni. Non soltanto, le tecnologie e l’informatica hanno tutto sconvolto, nel bene e nel male, ma le economie si sono frammischiate e la demografia ci ha imbarcati su uno stesso battello. Sono nato in un Mondo di 2,4 miliardi di abitanti e oggi abbiamo superato i 7,7 miliardi. Tra soli 15 anni si sarà ancora aggiunto un miliardo di esseri umani. Dipendiamo tutti dalle stesse risorse naturali di quantità limitata e la temperatura media del pianeta dipende dalla somma delle nostre emissioni individuali. Sulla nave Terra, c’è chi viaggia in prima classe, chi in seconda, chi in terza e chi nella stiva ma siamo tutti membri dell’equipaggio : tutto quello che facciamo ha un effetto maggiore o minore sulla direzione della nave. Nel 21° secolo, siamo entrati nell’era della responsabilità individuale e collettiva. Dobbiamo dunque avere un comportamento da cittadini responsabili – dal locale al globale.

 

DI – Come possiamo, a livello individuale, contribuire alla costruzione di un Mondo migliore ?                                

JF – Nella vita, non c’è altro che la somma di decisioni individuali che sono di piccolo o grande livello secondo l’ora del giorno, il luogo dove ci troviamo e ciò che dobbiamo o scegliamo di fare. Gandhi diceva « Quando ti accingi a fare qualcosa, pensa all’effetto che avrà sul più piccolo e il più vulnerabile tra di noi. Se l’impatto è negativo, l’azione è illegittima ». Applichiamo questa regola in tutte le occasioni e vedremo degli immensi cambiamenti. C’è spesso un abisso tra i nostri valori e le nostre azioni anche perché molte delle pratiche che ci sembrano normali, a ben riflettere, costituiscono degli abusi. Siamo dunque attenti anche a collegarci con coloro che s’interrogano allo stesso modo. La storia ci insegna che, in questo modo, nascono delle belle realizzazioni.

 

DI – I nostri contemporanei sembrano più egoisti, meno impegnati. Cosa si dovrebbe fare affinché ritrovino l’interesse per la politica ?  

JF – Dare l’esempio ! Sapere accogliere la parola da dove essa venga, praticare la benevolenza, comprendere quel che c’è dietro ogni rivendicazione, che si tratti di giovani che fanno lo sciopero del venerdi, di contadini senza terra, di movimenti di occupazione delle strade, di donne che reclamano rispetto o di navigatori dell’internet preoccupati dalle pratiche legate al « big data »… Non manca la volontà di coinvolgersi per spostare i parametri. Ma, quasi ovunque, la fiducia nella classe politica, nelle istituzioni, nei media, si corrode. Gli eletti la devono smettere con le pietose messe in scena di invettiva e diffamazione  del « campo avverso ». Coloro che pretendono ricoprire funzioni pubbliche devono capire che nel 21° secolo la maggiore parte delle soluzioni non possono piovere dall’alto ma devono essere costruite dalle persone coinvolte anche se è più complicato e che richieda più tempo. Il responsabile politico della nostra epoca deve piuttosto svolgere il ruolo di una levatrice che aiuta al concepimento e alla messa a punto dei progetti di società invece che quelllo di un « Deus Ex-Machina » che pretende sapere al posto degli altri ciò che conviene loro e che, al meglio, chiede la loro approvazione.

 

DI- Cosa fare affinché le genti diventino più solidali ?

JF- Smettere di  incitare le persone, le imprese, la nazione ad essere competitivi ! Smetterla di fare della concorrenza un dogma intoccabile. Permettere alla politica di ritrovare uno suo spazio nell’economia. Rimettere all’onore il valore civico della solidarietà e dell’unione al servizio degli individui e del bene comune, non già come un valore della vita personale in contradizione schizzofrenica con ciò che è di competenza dei rapporti commerciali ma come virtù cardinale del vivere insieme e quindi anche per quanto riguarda l’economia. La concorrenza è stimolante nello sport e può avere il suo posto in un’economia pluralista ma è distruttrice di valori quando diventa il motore della società. In un Mondo che si avvicina ai 10 miliardi di abitanti, la solidarietà non è una semplice opzione, è un imperativo di buona gestione. La solidarietà deve anche estendersi a livello internazionale dove è opportuno fare della cooperazione, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, una priorità misurabile sulla base dei mezzi investiti.

 

DI- Di  Fronte a dei masodonti come Monsanto o la generalizzazione degli OGM, quali sono le nostre possibilità di vincere ?

JF- Niente è impossibile ma nulla è vinto in anticipo. La sicurezza umana esige una vigilanza su gli eletti per liberare le nostre società dall’assoggettamento alla chimica dell’agricultura, del giardinaggio e della salute. Non è sufficente reclamare, presso i pubblici poteri, un approccio più rispettuoso degli equilibri ecologici e della salute. Gli individui, che siano consumatori o produttori, si devono informare quanto ai rischi e alla posta in gioco ed assumersi le loro responsabilità applicando, al loro livello, il principio di precauzione quando l’opacità delle informazioni lascia un dubbio quanto alla pericolosità di certi prodotti o pratiche o, addirittura, moltiplicando  le “class action” davanti ai tribunali come negli Stati Uniti… Essi devono anche notificare agli eletti le linee gialle da loro tracciate in quanto elettori. Tali linee devono includere qualsiasi protezione di segreti industriali che impediscano un controllo del cittadino, cosí come i limiti che impongono accordi commerciali tipo CETA  in materia di norme sull’ambiente e la sanità o di regole relative alla concorrenza che riducono i margini di decisione di una comunità in campo economico o sociale.

 

DI- Quale sarebbe, secondo Lei, un sistema economico più adeguato ?

JF- Le teorie del lasciar fare sono obsolete su un pianeta dalle risorse limitate che presto avrà dieci miliardi di abitanti. La politica deve riprendere un ruolo nell’economia. Diversi  approcci possono coabitare a condizione di dare uno spazio sufficiente alle iniziative orientate al benessere sociale e alla tutela della natura. Abbondano gli esempi di imprese che non sono non-profit e che perseguono obiettivi sociali o ecologici e favoriscono, allo stesso tempo, la participazione e la solidarietà. Si tratta in particolare di cooperative, di mutue di assicurazione e salute, di associazioni, di fondazioni e di diverse imprese di carattere sociale. Le 300 più grandi cooperative e mutue del mondo rappresentano un fatturato che supera i 2000 miliardi di dollari. Questo settore, detto dell’economia sociale e solidale, che ha dato prova di una grande resilienza  e anche di crescita in occasione della crisi economica del 2008, sembra promettente di fronte alle sfide dell’evoluzione del lavoro nell’era delle piattaforme numeriche e dell’intelligenza artificiale. Farlo crescere aiuterebbe ad affrontare le cause profonde dell’esclusione e a realizzare la visione trasformatrice dell’Agenda 2030.

 

BIO : ex Vice-Direttore dell’ufficio di Ginevra del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) dove ha fondato, tra l’altro, « l’ Alleanza Mondiale delle Città Contro la Povertà », Jean Fabre è impegnato nella promozione dell’economia sociale e solidale, l’educazione alla pace e alla cittadinanza, e la ricerca associando fisica e medicina. Nella sua qualità di Segretario Generale della ONG « Food and Disarmament International » ha condotto la campagna dei  Premi Nobel  contro la fame e per lo sviluppo che ha accresciuto l’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia e del Belgio. In quanto Segretario del  IFoR (Movimento Internazionale della Riconciliazione) ha sostenuto i contadini senza terra in America Latina. Eletto Sgretario Generale del Partito Radicale italiano nel 1978, è anche all’origine della campagna che ha portato all’abolizione dei tribunali militari in tempo di pace in Francia.

Diva International: https://divainternational.ch/entretien-jean-fabre-18-mai-2020.html

Testi e Foto : Collaborazione MS

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