L‘ESSERE UMANO ETERNO “INEFFABILE”

Continuano ad accadere fatti tragici che paiono contrapporsi alla umana legge genitoriale di natura, sono pur essi dimostrazione della validità di una tesi filosofica che riscontriamo nei millenni in tanti pensatori, a iniziare da Platone e Aristotele: degli esseri umani può essere detto il generale, del singolo essere è impossibile dare annunci. Vanno quindi confermati i concetti di ordine generale, non quelli sul singolo che resta “ineffabile”, data l’impossibilità di poterlo cogliere”: “Individuum est ineffabile” ripetono Tommaso D’Aquino e Leibniz sino ad Heidegger, Adorno e altri.

La complessità di ogni singolo essere è infatti di tale portata da non poter l’individuo essere definito: passioni contrastanti possono covare, scatenarsi poi producendo fatti drammatici, provocati, tra l’altro, dall’esplodere del desiderio di vendetta, molto presente e spesso sproporzionato rispetto a ciò che si è subito o si è ritenuto di subire. Celeberrima l’aria del Rigoletto “Sì, vendetta, tremenda vendetta di quest’anima è solo desio…”. E l’irrefrenabile desiderio di vendetta supera persino l’amore verso i propri figli: talora è anzi attraverso l’uccisione di essi che viene ad attuarsi la vendetta.

Euripide (Salamina, 485 a. C. – Pella, 406 a. C.), drammaturgo greco fra i maggiori, con un pensiero lontano da valenze eroiche, vicino invece alla fragilità umana, alle problematiche della psiche, fra i tanti personaggi crea Medea, abnormità di vendetta per essere stata ripudiata dall’amato Giasone. Giunge, Medea, che per aiutare l’eroe nelle sue imprese aveva tradito i suoi affetti familiari e abbandonato la terra patria, a uccidere i figli, sottraendoli così per sempre al padre che li ama ma vuole, per opportunismo, ripudiarla per sposare la figlia del re, da cui avrebbe in eredità il trono.

Nella tragedia di Euripide è una donna a non sopportare l’abbandono, nel nostro tempo è anche l’uomo a non tollerare la separazione chiesta dalla moglie, a mettere in atto la medesima crudeltà di Medea verso gl’innocenti figli.

I millenni e le civiltà non hanno prodotto mutamento: i fanciulli non sono sicuri neppure fra le pareti domestiche insieme a chi dovrebbe, avendoli generati, essere tutela massima, vengono ancora, da padri oppure da madri, uccisi anche perché l’altro/a della coppia viva il dolore della perdita degli esseri che ha più cari.

E oggi sembra superato anche quanto sosteneva il critico e scrittore inglese Cyril Vernon Connolly: “Nella guerra dei sessi l’indifferenza è il potere del maschio, la vendicatività quello della femmina”. Ma il maschio, in ciò che lo scrittore definisce “la guerra dei sessi”, non sempre ha il potere della indifferenza, come la femmina  può porre in atto la vendetta più spietata.

Ancora una volta si è verificata la notte tra il 26 e 27 dello scorso giugno a Margno, località di villeggiatura del Lecchese, da parte di un uomo considerato ‘perbene’, che nulla ha lasciato percepire ed ha realizzato così la vendetta più crudele.

Elena e Diego, due gemelli dodicenni sono stati, l’una strangolata e l’altro soffocato dal padre, poi suicida, che ha voluto, con il duplice atto efferato verso i suoi figli, cui aveva fatto trascorrere una lieta giornata in montagna, provocare l’immane dolore inestinguibile alla madre.

E, come Medea, colei che viene definita “barbara”, cela il suo proposito di innaturale vendetta fingendo di accettare la decisione di Giasone, così l’uomo della civiltà supertecnologica cela ogni intenzione e, solo dopo la inumana esecuzione, prima di gettarsi dal ponte, invia alla madre una mail: “E’colpa tua se la faccio finita, non li rivedrai più i bambini”. Una condanna a insinuare anche il senso di colpa.

 Può questo diritto esistere? Con Theodor Adorno sosteniamo che il diritto è la vendetta che rinuncia.

     Antonietta  Benagiano

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