Giovedì scorso il Ministero di Franceschini ha risposto all’interrogazione sulla gestione del Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria che avevo presentato ad inizio febbraio. Recentemente l’ho segnalata come prioritaria, perché i vertici MiBACT prendessero atto delle criticità stigmatizzate nel documento e dessero spiegazioni ai cittadini. Della risposta, letta in Commissione “Cultura” dalla sottosegretaria Orrico, ho però dovuto dichiararmi insoddisfatta, e farlo mettere agli atti, poiché alle mie puntuali rimostranze si è tentato di opporre argomenti inconsistenti, se non risibili. Per giustificare la nomina di un portavoce del direttore, ad esempio, è stata millantata una generica carenza di organico che il museo reggino, dotato anche di un funzionario per la comunicazione, non può lamentare, essendo invece tra i pochissimi che hanno aumentato i propri dipendenti negli ultimi anni. E addirittura si è negato il danno erariale, mentre il risarcimento a spese del Malacrino seguito all’annullamento del contratto in autotutela ne fa cessare solo gli effetti, valendo quindi come attenuante del danno ma non come esimente. Quanto al nodo del negato accesso ai depositi del Museo, dopo l’ispezione di inizio 2017, sbarrati sia per il personale della Soprintendenza sia dell’ICCD, e al cuore dell’atto di sindacato ispettivo, costituito dalle assurde difficoltà frapposte dal Malacrino nel passaggio di consegne alla Soprintendenza ABAP e nella gestione degli archivi storici (in particolare quello fotografico) della ex Soprintendenza Archeologica della Calabria, relativi all’intera regione, trattenuti abusivamente nel Museo e usati come proprietà di quell’Istituto, mentre sono strumento di lavoro quotidiano per chi fa tutela sul territorio, non è stato ancora risolto alcunché. La bozza di gestione congiunta Soprintendenza-Museo condivisa ad inizio aprile 2020 manca di un pur minimo riscontro da parte del direttore del Museo della Magna Grecia. L’accordo stesso è dunque ben lungi dall’essere “in corso di perfezionamento”. Il vantato “primo inventario digitale” del patrimonio museale, poi, successivo alla malaugurata re-inventariazione dei reperti, è del tutto estemporaneo, non segue le regole di catalogazione dell’ICCD e ha coinvolto anche materiali che ai sensi delle circolari congiunte ABAP-Musei 43 e 51 del 2017 non sono di sua competenza. Un quadro oggettivamente molto problematico che la edulcorata risposta ministeriale non riesce affatto a camuffare, nonostante reiterati e goffi tentativi di distorcere la realtà.
Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)