RICORDARE FALCONE, RICORDARE CAPACI

di Domenico Bilotti

L’uso criminale delle stragi non è una novità nella storia repubblicana, che troppe volte, recentissima e giovane, ebbe a piangerne le conseguenze tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. L’ultimo decennio del XX secolo è un fermento, almeno apparente, di straordinarie innovazioni politico-istituzionali: il 1989 tra le macerie del muro di Berlino cade il mondo diviso in due blocchi, nuovi e vecchi competitori per la governance globale dovranno rimisurarsi. In pochissimi anni, fino alle elezioni politiche del 1994, pressoché tutti i partiti della cd. “prima repubblica”, i partiti storici dell’arco costituzionale, abbandonano la scena, inseguiti da inchieste giudiziarie che solo in parte innovano, oltre alla classe politica, il modo concreto di viverla e farla. Del resto, non spetta alla magistratura instillare il seme di nuovi canali di partecipazione ed entro breve i protagonisti della stagione precedente tentano di riaffacciarsi sulla scena, talvolta con gli stessi o superiori poteri.

La Sicilia è scossa. Le nuove tecniche di investigazione antimafia, sperimentate soprattutto sul campo, in attesa di un riassetto legislativo che al tempo manca in modo organico dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, hanno consentito di mappare con grande caparbietà e metodo i cartelli criminali di Cosa Nostra. L’offensiva mafiosa è netta e, invero, col senno di poi suicida: le azioni eclatanti attirano presto l’onda lunga di un sincero sdegno popolare e giovanile, oltre a operazioni mano a mano più importanti a danno del vecchio gotha criminale. I due personaggi più carismatici di questo immaginario, che finalmente riconosce la mafia come problema sociale e che mette al servizio del suo contrasto tanta fatica individuale e moltissimo know how specialistico, sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nei molti commenti post mortem, succedutisi negli anni, sono pochi a ricordare che in vita i due non riscuotono consenso unanime nel loro stesso ambiente. E spesso, tra le ragioni di quel malcontento quasi sempre strumentale, non ci sono i loro modi, le loro intuizioni investigative, i loro risultati dall’accusa al dibattimento e da lì alle pronunce giudiziarie. No: molte polemiche nella Palermo di quegli anni riguardano rivalità personali, scaramucce velenose, accuse incrociate, protagonismi. Falcone, ma con lui alla pari Borsellino, intuiscono alcuni elementi molto importanti per la mafia degli anni Ottanta e Novanta e le cui conseguenze scontiamo ancora oggi, forse perché quelle intuizioni non abbiamo capitalizzato abbastanza. La mafia ricava dal narcotraffico un fiume di denaro liquido costante che nei contesti locali dà così modo di occupare col riciclaggio anche molta parte di economia lecita. Più l’acquisto e la lavorazione di stupefacente sono vicini al vertice dell’organizzazione e più sarà alto il guadagno sullo smercio finale (lo ha ben capito la ‘ndrangheta degli anni Zero, che si è presa il ruolo di narcomafia sapendo direttamente trattare coi grandi cartelli centro e sud-americani). La mafia si è spostata al Nord, non è solo un vortice di rozza intimidazione in piccoli quartieri e paesi della Sicilia (s)perduta: compra complessi edilizi, cementifica, entra nell’ortofrutta, nello smorzo, nel movimento terra; cerca, trova, innalza, spreme e coccola i suoi referenti politici. È una mafia con una potenza militare incredibile e un pallottoliere economico per scambi a nove zeri. Come si combatte la mafia? Altre intuizioni preziose di quei due giudici uccisi in spettacolari quanto drammatici assalti esplodenti. Occorre educazione e scolarizzazione, come ricordava Don Puglisi, anch’egli ucciso dalla mafia, di lì a poco. Occorre reddito e formazione. Occorre etica pubblica. Solo così fai saltare gli elementi fenomenologici e sostanziali che integrano la “condizione di assoggettamento e di omertà” di cui alla parte speciale del nostro Codice penale. In primo luogo, dare sostentamento e formare cultura significa abbattere la ricattabilità che nasce perché esistono favori, e non diritti; pretese violente e non doveri. E, a seguire, si devono combattere la corruzione, la clientela e la compiacenza che subordinano coi privilegi più che con le norme, con le decisioni insindacabili più che con i procedimenti, con lo scambio interessato più che con la liceità dei rapporti giuridici.

La sera del 23 Maggio 1992, quando il bel Sole del Sud scotta prefigurando l’imminente estate e si addormenta tardi, siamo stati tutta la notte a cercare di capire, di pensare, di sapere, di reagire. Gli attentatori fecero esplodere un intero tratto di autostrada, nel meraviglioso territorio di Isola delle Femmine. Oltre a Falcone morirono Francesca Morvillo (la moglie), tre agenti della scorta (Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro). I tre avevano suppergiù tra i venti e i trent’anni. Morirono per delle idee.

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