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SE LA INCLUSIONE DIVIENE IRRUZIONE

Ambivalente, come lo può essere qualsivoglia decisione con relativa azione, è la inclusione. Può infatti produrre frutti positivi oppure generare la catastrofe con trasformazioni che definitivamente abbattono i pilastri su cui si fonda la sostanza di una determinata civiltà. Nell’impero romano, a esempio, la inclusione dei cosiddetti “barbari” segnò la fine di quel mondo frutto di un certo pensiero, con aspetti di legalità, di arte e forme di vita per la cui riconquista dovettero poi trascorrere secoli, per una renovatio che tornò a riproporre l’humanitas, l’amore per l’arte e il diritto.

Quel che interessa rilevare è che la storia umana, dopo il procedere di una civiltà che si rafforza a tal punto da apparire non scalzabile, inceppa in ciò che ne determina l’arresto. Il presente tempo contiene parecchi elementi (quest’anno si è aggiunto il Covid 19) che potrebbero generare il punto di rottura, ma non ci riferiamo a simili risvolti, né a quelli della tecnica, presente nel globo presso tutti gli schieramenti, da quelli in sintonia per opportunismo agli altri, avversari con forte tendenza a ribaltare le situazioni mondiali. Partiamo dalla ratio della civiltà occidentale caduta in disuso, dalla fides posta anch’essa da parte o percorrente vie molto accidentate e pertanto pericolose. E quando non ci sono guardiani decisi e coraggiosi, il bottino diventa facile. Vanno aggiunte anche la scarsa cooperazione nel declino economico, la diffusa corruzione e l’inefficienza dilagante.

Lo scienziato politico Samuel P. Huntington nel Saggio “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” (1996), contrariamente a quanti sostenevano che dopo la Guerra fredda il mondo fosse alla fine della storia nel senso hegeliano, ritiene in atto (le sue motivazioni vanno oltre il dominio del denaro e della stampa, in rilievo sin dai primi decenni del Novecento ne “Il tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler) il tramonto della civiltà occidentale per la particolare crescita della civiltà islamica e della economia di Cina, India e Sud-Est asiatico, crescita che s’impone con un forte senso di appartenenza. Pertanto, secondo Samuel Huntington, all’Occidente non resta che difendere strenuamente, nello spazio propriamente suo, i valori di appartenenza. Interessante anche il concetto di occidentalizzazione, di cui la modernizzazione non è necessario presupposto, poiché basato sulla separazione tra autorità spirituale e temporale, sullo stato di diritto, sul pluralismo  sociale.

 La inclusione può farsi irruzione. Papa Wojtyla, assertore della libertà di culto a tal punto che in Roma, centro della Cristianità, approvò la costruzione della moschea, anche se poi fu critico poiché l’eguale diritto, e non solo, veniva ai cristiani negato nelle terre islamiche, previde (secondo quanto riferisce Monsignor Mauro Longhi su confidenza del cardinale polacco Andrzej Deskur, grande amico di Wojtyla) che nel XXI secolo la destabilizzazione avrebbe con forza maggiore attraversato l’Europa, che contro di essa era necessaria “la fede vissuta con integrità”, idest  senza mezze misure, né fragilità, per le quali la civiltà occidentale si sarebbe spenta. Una previsione che costringe a meditare.

Antonietta Benagiano

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