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La sindrome di Stendhal

di Francesco S. Amoroso

Lo scrittore francese Henri Beyle, universalmente conosciuto con lo pseudonimo Stendhal (Grenoble 1783 – Parigi 1842) e autore del famoso romanzo La certosa di Parma del 1839 è inoltre conosciuto per aver dato il suo nome a una famosa sindrome conosciuta anche come sindrome di Firenze città dove sembra maggiormente essersi verificata.

Si tratta di una patologia psicosomatica che può determinarsi trovandosi ad ammirare un’opera d’arte e che si manifesta come una sensazione di malessere diffuso, alla quale possono aggiungersi altri sintomi quali crisi di panico, ansia, palpitazioni, difficoltà respiratorie e sensazione di mancamento.

A livello psichico, la sindrome porta a sviluppare un senso di irrealtà.

Questo particolare fenomeno di turbamento fu descritto dallo scrittore nel diario di viaggio Roma, Napoli e Firenze del 1817, il quale sperimentò gli effetti di questa patologia su se stesso.

Stendhal raccontò che, durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, fu colto da una crisi che lo costrinse a uscire dall’edificio per riprendersi dalla reazione vertiginosa che il luogo di culto aveva scatenato in lui.

La sindrome fu descritta nel 1970 dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini che osservò come si palesasse particolarmente durante l’osservazione di opere artistiche custodite in ambienti chiusi.

Lo studio di questi casi portò ad osservare che vi erano alcuni elementi ricorrenti: erano tutte persone in viaggio e tutte straniere. Il fenomeno parve alla studiosa assolutamente degno di attenzione, così che vi svolse uno studio approfondito, operando anche un’indagine su un campione di soggetti.

Le persone colpite da questa patologia sperimentano un forte senso di angoscia e vengono investite di colpo dal malessere, che spesso le costringe ad allontanarsi dall’opera che stavano contemplando estasiate.

Le vittime della sindrome di Stendhal sono in maggior parte turisti che visitano le città d’arte sparse nel mondo.

Chi è mentalmente predisposto, in particolar modo le persone più sensibili, può lasciarsi coinvolgere dal vortice di emozioni scatenato dall’opera, fino a far esplodere la sindrome.  Alla base potrebbe esserci una reazione dei neuroni specchio (quelli che si attivano quando si compie un’azione), mediata più o meno volontariamente dall’autore dell’opera d’arte. In parole più comprensibili, l’opera trasmette lo stato emotivo dell’artista all’osservatore provocandone un profondo turbamento.

Va poi evidenziato come non trattandosi di un disturbo psichiatrico specifico non esistano terapie o trattamenti farmacologici per eliminarlo.

Dalle statistiche risulta che l’87% delle persone che hanno accusato i sintomi della sindrome erano viaggiatori singoli, in luoghi particolarmente carichi di arte e di storia.

Venite in Italia allora per farvi stordire dalla bellezza delle nostre città d’arte e dalle opere in esse custodite, il nostro Paese infatti detiene il 60% del patrimonio artistico mondiale, non prima però di aver superato, auspicabilmente presto, questo brutto momento causato dalla pandemia mondiale.

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