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LUIGI RAPISARDA: RIMETTIAMO IN CAMPO IL PATRIMONIO DI IDEALI E DI VALORI DELL’ITALIA DEL DOPOGUERRA

 L’affannosa ricerca delle migliori condizioni per il miglior avvio della fase 2, con cui si stanno cimentando miriadi di tavoli, commissioni ad hoc, governo e regioni,in una babele incomprensibile di piani fai da te,pone inevitabilmente il problema della giusta ripartenza del nostro Paese.
Un problema di vitale importanza per tutto il nostro sistema organizzativo sociale ed economico,perché si tratta di apprestare,nella galassia dei settori pubblici e privati,modelli e metodi che prevengano la trasmissione del contagio e le migliori ricette di sostegno pubblico affinché la ripresa economica sia avviata nella giusta direzione, colmando,il più possibile,il pesante gap inflitto al nostro assetto economico dalle ineludibili misure di lockdown.
In questo quadro,prerequisito importante appare la predisposizione di una valida e credibile idea di Paese e una regia decisionale rapida e lungimirante.
Cosa di cui certo non pare brillare l’attuale esecutivo, spesso tentennante e alla mercé delle forti spinte centrifughe di talune regioni,anche sulla scia di una conflittualità politica,non sempre sotto tono.
Con l’effetto di un certo grado di disorientamento e scarsa fiducia che sembra avanzare nell’opinione pubblica sull’adeguatezza della gestione di ciò che appare essere una lunga emergenza, pagata finora a caro prezzo da ciascun cittadino,in termini di compressione delle fondamentali libertà individuali e collettive e dal sistema imprenditoriale con il fermo delle attività produttive con incalcolabili perdite economiche.
E se le forze politiche, soprattutto dell’opposizione, non pare stiano solo a guardare, il quadro politico,appare in questo momento,in aperta fibrillazione per tutta una serie di scelte che nell’immediato investono il nostro futuro:Mes,Eurobond,politiche di sostegno ed incentivi per la ripresa e l’occupazione.

E non ultimo il pronunciamento della Corte suprema tedesca che ha contestato il meccanismo di erogazione e gli interventi della BCE a favore degli Stati ad economia debole, tra cui l’Italia.

In mezzo a tutto questo bailamme, registriamo una partita a sé che sta giocando Renzi all’interno della maggioranza.

 Egli, più che come un alleato si comporta come un cavallo di Troia di quella opposizione che a giorni alterni va a braccetto con Salvini e Meloni,ossia quella Forza Italia che ha ancora un appeal nell’area moderata di centro.

 Così,nel segno della proverbiale: gutta cavat lapidem, si adopera a fustigare e ostacolare, rigorosamente solo a parole,l’azione di governo,sapendo che questa tattica porta tanta visibilità al suo mini partito, mentre ben lungi, questo suo armeggiare ad ogni affacciar di sole, dall’idea di staccare la spina.

 Un azzardo troppo grosso e insidioso non riuscendo a dare slancio alla sua formazione politica, forse anche per qualche errore di troppo nel suo trascorso politico,sapendo che allo stato delle cose, in un’ipotesi di voto, in ogni caso molto improbabile per la forte resistenza dei grillini che non si  schioderebbero da quelle ambite poltrone fino a tutta la durata del mandato,pur apparendo lapalissiana la consistente difformità rappresentativa con il paese reale,sondaggi alla mano,il suo partito difficilmente supererebbe lo sbarramento elettorale per rientrare in parlamento.

 È un gioco che non può andare all’infinito.

 Ed essendo questo il punto focale di una strategia d’attacco del nostro politico fiorentino,appunto poco acconcia ad obiettivi di fine legislatura, al quale il catenaccio dei 5S in fondo fa comodo,non può che agitare le acque per un fine più contenuto, ossia quello di indebolire il premier fino a provocarne una crisi per la sua sostituzione, magari con una personalità a lui più gradita,capace di spostare più al centro l’asse politico dell’azione governativa.

 Un disegno che a ben guardare non troverebbe ostile il Pd che da tempo pare non digerire un’accentuata propensione del nostro premier al frequente personalismo mediatico.

 Ed anche il Capo dello Stato non sembra sia disposto ad accettare per lungo tempo la confliggenza di strumenti normativi anomali,caducatorie, sia pure transitoriamente,di libertà fondamentali, auspicandone un uso più morigerato.

 E soprattutto guidati da un dichiarato ma intuibile intento di smarcarsi  da una sinistra più ben disposta alla deriva giustizialista, soprattutto in materia di riforme ordinamentali, che da un po’ di tempo sta mettendo in allerta ed ha fatto ricompattare tutte le diverse espressioni delle associazioni forensi.

 Ma non sfugge a nessuno che più ancora che il logoramento del mini partito di Matteo Renzi,lo stesso Conte potrebbe a breve( con tutte le sue giravolte in parlamento a spiegare perché non vuole il Mes, o con inversione a U, come gli  è stato solito fare per mettere insieme il diavolo e l’acqua santa,perché vuole il Mes,ancora nessuno l’ha capito)trovarsi di fronte a scenari inediti se le sue misure a sostegno della ripartenza economica dovessero, come fino ad ora hanno dimostrato, rivelarsi solo dei pannicelli caldi mentre il sistema imprenditoriale affonda tra debiti e chiusure definitive delle aziende.

 Uno scenario che metterebbe a nudo l’incapacità del governo ad affrontare una crisi di così grande proporzioni con il rischio che la grave questione sociale che ci sta consegnando il lockdown si converta in insidiosa tensione sociale.

 Così da farci trovare tra capo e collo una crisi della maggioranza, perché a quel punto ne vedremo di baruffe tra gli alleati sugli eccessi o sui difetti delle misure economiche messe in campo.

 E in questo quadro non appare senza significato il posizionamento di Berlusconi in favore del ricorso al Mes, che ci garantirebbe la non insignificante cifra di 36 miliardi, senza condizioni purché spesi  nell’area della nostra sanità.
Berlusconi, a differenza degli altri due leader del centrodestra è garanzia di valori ed ideali liberali e dei principi democratici ed è un grande assertore della valorizzazione e del potenziamento di un’Europa più vicina ai bisogni collettivi.
Una concezione che lo ha radicato saldamente in un area centrista e liberale e convinto sostenitore di un popolarismo europeo senza le aspre declinazioni che di questa dottrina ne da la Germania di Angela Merkel o altre forze popolari europee meno aduse ad incondizionato solidarismo.

 In questo quadrante non pare senza significato, perciò il suo diverso atteggiarsi in confronto alla chiamata alle armi degli altri due leader dell’opposizione,che pur tenendo sotto tono per il comprensibile motivo di non indebolire l’azione di governo ancora in mezzo al guado nel contrasto al coronavirus, che però non ancora appare ben riuscire efficacemente a dare i suoi frutti, la loro contrarietà ai tanti discutibili e talvolta intempestivi provvedimenti,non fanno mistero della necessità di un inevitabile ricorso al voto per un governo che, in una fase così delicata sia la diretta espressione di una condivisione popolare di un’idea di paese e non di alchimie o di coalizioni di forze antitetiche negli ideali,nei valori e nelle prospettive a lungo termine, da cui non potrebbe attendersi la predisposizione di un coraggioso e inedito programma di rilancio e sviluppo del nostro sistema.

 Insomma ci sono tutti gli ingredienti per intuire che in autunno potrebbe avviarsi una crisi tesa ad una rimodulazione della maggioranza,occasionata,ovviamente dalla necessità di assicurare un più coraggioso portato di misure finanziarie di sostegno, per far ripartire nella giusta potenza,il motore economico del Paese.

 Insomma si tratterebbe di cominciare a scrivere una nuova e coraggiosa pagina di new deal economico,organizzativo ed ordinamentale,che metta definitivamente in soffitta le obsolete pratiche operative della pubblica amministrazione,del mondo del lavoro e della giustizia, con un sistema di novellazione legislativa che ripulisca dalle tante vecchie incrostazioni che hanno frenato lo sviluppo della nostra Repubblica.

 E in questa grande sfida che il Paese si accinge ad affrontare non può mancare la rilettura attenta di quella parte della nostra  storia politica del dopoguerra,nella quale grandi leader seppero  farsi carico della ricostruzione postbellica,portandoci,nel giro di pochi anni,ad un livello impensabile di dinamicità imprenditoriale e di sviluppo e di benessere,in un quadro di alleanza atlantica e preservandoci da insidiosi avventurismi.

 Quei protagonisti,De Gasperi, Dossetti,Fanfani,Moro e tanti altri,furono uomini formatisi nel solco dei valori e degli ideali del popolarismo sturziano,cattolico e liberale,che si collocarono al centro dell’area politico-parlamentare.

 Da quei valori,oggi un po’ in eclisse,dobbiamo saper recuperare la forza per ritrovare, impulso e prospettive,in un quadro di grande spirito di servizio, per la rinascita economica,ordinamentale e politica del nostro Paese.

 Roma,06.05.2020

Luigi Rapisarda

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