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NEL DIALOGO TRA FEDI E CULTURE

di Domenico Bilotti (*)

Una delle più evidenti sconfitte della politica istituzionale consiste nella limitata capacità di studio dei politici che la incarnano, spesso privi persino della grammatica di base dei dicasteri che presiedono. La politica come formazione civile era altra cosa: lievito di competenze che, del resto, l’amministratore della cosa pubblica, tolte le vesti del governo o della rappresentanza, si premurava di continuare ad affinare.
Vannino Chiti è legato a questo secondo modo di vivere la politica; la formazione che non si chiude col mandato; il percorso di ricerca che non si limita alle ospitate; la creazione di rete sociale attraverso la sensibilità e non i social. Per questo continua a fare lavoro di ricerca, di partecipazione alla sfera pubblica attraverso le carte, il dialogo, la riflessione. Anche perché, per quanto se ne sappia, altre vie non ci sono né potrebbero esserci.
Da anni il percorso di studi dell’ex vice presidente del Senato si lega a filo doppio al rapporto tra fedi e culture nelle comunità politica. Si è dedicato al ruolo del cristianesimo sociale nella storia legislativa dell’Italia, a un’accezione universalistica dei diritti umani tale da poter essere accolta come stella polare dell’agire senza riserve, ai rapporti tra i grandi monoteismi di Abramo (Cristianesimo, Islam, Ebraismo) e le nuove forme della religiosità individuale e collettiva. Convinto europeista in politica internazionale – l’Europa federalista, aggregante, espansiva; l’Europa che i confinati disegnavano per salvare i popoli dalle guerre e non per strozzarli – in campo religioso è assertore del dialogo interreligioso ed ecumenico. Le due cose sono molto più vicine di quanto si creda: in un’Europa di ascendenza culturale decisamente cristiana, sono proprio i nuovi nazionalismi a tentar di portare dalla loro le Chiese cristiane maggioritarie nei diversi Paesi (cattolica o protestante o autocefala ortodossa).
Il nuovo lavoro per Guerini & Associati, “Le religioni e le sfide del futuro” è un’inchiesta matura che si apre poi, nelle ultime pagine del volume, al contributo qualificato di alcuni esperti di diversa appartenenza confessionale. Il core sense del libro, però, è tutto frutto della fatica dell’A.; è un testo qualificato e ricco con una grande chiarezza espositiva e un metro di scrittura mai ridondante, anzi efficace anche nella sintesi.
Nel volume si ragiona con un filo logico e una coesione tematica molto intima dell’interpretazione religiosa per combattere il letteralismo fondamentalista; delle forme giuridiche istituzionali del dialogo interreligioso e del complicato cantiere aperto di questo Pontificato; delle divisioni nelle Chiese dell’Est Europa scelleratamente fomentate dalla politica; del riformismo giuridico che qua e là resiste nel mondo islamico nonostante il sostanziale fallimento delle primavere arabe.
Un testo che guarda al mondo, in uno stato della riflessione collettiva che spesso non sa guardare il proprio ombelico. Un testo coi piedi ben piantati nel nostro tempo presente e nel nostro Paese: un Paese abituato a strappi fasulli che in realtà sottintendono soltanto la volontà di difesa del proprio spicchio. Toccando i tasti dell’ermeneutica, dei diritti confessionali, dell’antropologia, Chiti prova a suggerire un’altra pista. Una pista sottoposta alla fatica immane di ritagliarsi strada tra gli elogiatori acritici di qualunque bontà solo di facciata e i loro speculari fratelli: i seminatori d’odio che azzannano semplicemente per ricordare al mondo che esistono.

(*) docente di “Storia Contemporanea e delle Religioni” – Università Magna Graecia di Catanzaro

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