Fino a ieri, consapevole dei miei limiti in campo sanitario, me ne sono guardato bene dal fare ragionamenti che non fossero in linea con i connotati che, in linea prevalente, chi ne sa di certo più di me in questa materia, ha sin qui fornito alla pubblica opinione.
Oggettivamente non è che, da un momento all’altro io possa cambiare idea anzi !, ma una mia teoria che nascondo intimamente da alcuni anni anche per tema di venir “deriso e sconfessato” dai soloni della scienza, ai quali, inevitabilmente, avrebbe fatto seguito quella solita schiera di persone sempre pronta ad osannare la persona importante rispetto alla persona semplice e magari apparentemente sprovveduta, ho deciso di esplicitare questo pensiero in incubazione appunto da anni, come detto dianzi.
Trovo il coraggio ed il sostegno per farlo dopo aver sentito cosa ha detto il Prof. Vincenzo D’Anna, esperto virologo, Presidente dell’Ordine dei Virologi della Lombardia, con riferimento al virus su cui si dibatte ormai da molte settimane.
Egli infatti dice papale papale :
“ Sembra che tale virus sia domestico e non abbia cioè alcunché da spartire con quello cinese proveniente dai pipistrelli. Un virus padano, per dirla tutta, esistente negli animali allevati nelle terre ultra concimate con fanghi industriali del Nord”I contagi, dunque, sarebbero due: “Uno pandemico a diffusione lenta attraverso i viaggi degli infettati, e l’altro locale”. Quest’ultimo poco più che un virus para-influenzale, di nessuna nocività mortale se non per la solita parte “a rischio” della popolazione.”
Sulla base di queste considerazioni da parte di un biologo, non certamente di secondo piano, vorrei aggiungermi non solo a dette affermazioni, peraltro da me scritte già anni fa su alcuni libri, ma anche vorrei sviluppare detto assunto.
Premesso che i vari focolai del coronavirus hanno interessato sin qui superfici territoriali ad altissima concentrazione industriale ed agricola, come è successo anche in Cina, (ricordiamoci che ora, febbraio-marzo 2020, Wuhan, 11.mln di abitanti, sta lottando anche contro l’aviaria e la mosca nemica della frutta e degli ortaggi !!!, oltre che del coronavirus), ciò detto, perché non si pensa, in considerazione del fatto che, ove esistono grandi concentrazioni agricole ed industriali è prassi conclamata quella di concimare chimicamente (ergo con veleni tossici), ed in maniera progressivamente sempre più massiccia i terreni, nonché adoperare materiali riciclati al cui interno esistono senz’altro molte componenti tossiche, che detto virus potrebbe aver avuto una sua genesi proprio in queste aree, di cui – tanto per parlare delle cose di casa nostra – Lombardia, Veneto, ed anche parzialmente Emilia Romagna, potrebbero esserne l’espressione italiana ?
Si obietterà che anche in altre Regioni si sta propagando il virus. La risposta mi pare scontata: gli spostamenti fisici e via aerea potrebbero giustificare questa risposta, a cui si potrebbe aggiungere che, per nostra fortuna, tutto non può essere ovunque contestualmente simultaneo, al punto da dover ritenere, per intanto, realtà “fortunate”, quei territori più poveri in materia agricolo-industriale e quant’altro.
Detto questo, come ritiene, mettendo nero su bianco, anche il dott. D’Anna, biologo di Milano, il coronavirus avrebbe potuto avere in Italia una sua genesi del tutto “territorialmente autonoma” , fenomeno patologico che paradossalmente non avrebbe pertanto nulla a che vedere con quello cinese.
Insomma, e lo dico in chiave scherzosa anche per mitigare l’importanza della patologia, verrebbe da dire che, in veste di anarchismo socio-politico-sanitario, come si è visto in queste ultime settimane da noi ed altrove, sembra che, ciascuna realtà geografica reclami masochisticamente, in negativo, la sua parte di…tossico protagonismo.
ARNALDO DE PORTI
Belluno-Feltre