I social ci stanno spegnendo, formandoci due cervelli

Leggo, su Giornale-Sentire, le giuste argomentazioni del prof. Vittorino Andreoli, neuropsichiatra di fama nazionale, il quale, non si sta “sprecando” dicendo che i social ci stanno spegnendo, formandoci due cervelli: uomo digitale e l’altro di carne, uccidendo così la nostra personalità e la nostra sostanza di esseri umani. Così come, leggendo il suo interessante libro a titolo “Homo stupidus stupidus – l’agonia di una civiltà”, mi verrebbe da dire che, oggi come oggi, non si è ancora capito a livello planetario che non esiste un rapporto stretto tra capitale e forza lavoro al punto che, continuando ulteriormente su questa scia, significa sviluppare un contesto mondiale – come dice anche Andreoli stesso – un mondo senza bussola, e pertanto al di là dei parametri esistenziali che la nuova civiltà richiede, anche in campo informatico, sia per noi grandi che per i giovani.

Ormai il fenomeno è diventato di una gravità tale, per tutti e non solo per i ragazzini come detto dianzi, che i libri del filosofo austriaco Rudolf Steiner risalenti ad alcuni decenni fa, secondo cui (sue testuali parole) l’uomo sarà in grado di sconfiggere il cancro ma non saprà esimersi dalla pazzia collettiva, tutto ciò diverrà… acqua fresca.

Ormai infatti lo “schiavismo informatico” che per certi versi è anche ridicolo oltre che patologico, fa parte di una nuova era le cui conseguenze potrebbero far ipotizzare che oggi sia veramente difficile immaginare l’imponderabilità futura degli eventi, magari a seguito di un possibile intoppo del quale non potremmo essere in grado di individuarne gli antidoti. Il discorso sarebbe lungo e difficile ed, in ogni caso, non trattabile in questa sede da chi, anche come il sottoscritto, è assolutamente impreparato in questa materia.

La dipendenza dallo smartphone è già una patologia grave, dato che oggi si vede la maggioranza delle persone sempre con il telefonino in mano, realtà che, secondo me (e questo, salvo errore, lo psichiatra Andreoli non l’ha detto), in un clima sociale in cui l’inquilino non conosce il dirimpettaio condominiale, l’uomo moderno si sente sempre più solo e considera lo smartphone come una sorta di compagnia, aspetto quest’ultimo che interesserebbe anche la sociologia in accordo col contesto psichiatrico.

Ed infine, anche a conferma delle predette argomentazioni, si provi, anche per un solo istante, a togliere di mano il telefonino ai nostri figli, avremmo conferma che essi “danno di matto” con conseguenze a volte pericolose. Forse avrò anche un po’ enfatizzato, ma di certo, chi ha figli e nipoti, non può non aver osservato questa grave realtà.

Arnaldo De Porti – giornalista

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