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La Corte di Strasburgo condanna il Belgio per aver impedito a una donna con il velo di entrare in tribunale: “Vietare il velo in pubblico viola il diritto alla libertà  di pensiero, coscienza e religione”. Nella sentenza si legge che il divieto è un

Una notizia, per chi si batte contro le discriminazioni, che solleverà anche molte polemiche. “Vietare il velo in pubblico viola il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione”. Lo ha deciso la Corte di Giustizia Europea, ribaltando così la sentenza del marzo 2017. La Corte europea dei diritti umani ha dato ragione ad una donna, confermando che la legge che vieta alle donne musulmane di indossare il velo integrale o parziale in luoghi pubblici è un atto discriminatorio e viola il diritto al rispetto della vita privata e alla libertà di pensiero, coscienza, religione. I giudici della Corte, con sede a Strasburgo , hanno giudicato con una larga maggioranza di sei voti contro uno contrario che la decisione di negare l'accesso viola l'articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Questa norma protegge il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione. Il ricorso è stato presentato da Hagar Lachiri, un cittadino belga di 32 anni, che si è schierato contro le leggi municipali e nazionali introdotte nel 2008 e 2011, considerate, secondo le parole del legale, “una sproporzionata intrusione dello Stato nella sfera dei diritti individuali come la libertà di espressione e di religione”. I fatti risalgono al 2007 quando l'uomo ed altri membri della sua famiglia si recò in Tribunale per assistere ad un'udienza che trattava il caso dell'omicidio di suo fratello. Con decisione presa dal presidente della corte, un'ausiliare si avvicinò alla donna del gruppo per informarla che se voleva assistere all'udienza, doveva prima rimuovere il velo islamico. Lachiri rifiutò e, di conseguenza, fu impedito alla donna di entrare nell'aula. La Corte di Strasburgo ha anche tenuto conto del fatto che il velo non le copriva completamente il viso, solo i capelli e il collo. E si è ricordata che è una libera cittadina, quindi non le si può chiedere di avere il dovere di discrezione che può essere richiesto ai dipendenti pubblici. In breve, la sentenza interpreta che c'era “una limitazione all'esercizio del diritto di manifestare la propria religione”, qualcosa che “non è giustificato in una società democratica”. Nella fattispecie, la Corte ha condannato il Belgio al risarcimento del danno morale liquidato in via d’equità nella misura di 1000 euro. Adottando questo divieto lo Stato belga, affermano i giudici, ha voluto rispondere a una pratica considerata incompatibile nella sua società con la comunicazione interpersonale e con la costruzione di relazioni umane, indispensabili per la vita collettiva. Il divieto, adottato in primis dalla Francia nel 2010, è stato approvato dalla Camera Bassa del Parlamento belga nell’aprile del 2010 ma è entrato ufficialmente in vigore nel luglio del 2011 dopo il via libera del Senato. La legge, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è stata votata praticamente all’unanimità, con appena due voti contrari, e stabilisce che per ragioni di sicurezza, in luoghi pubblici come parchi o strade, è vietato indossare abiti che nascondano l’identità di una persona.
Lecce, 18 settembre 2018

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