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Carosello

Così si intitolava la prima produzione televisiva destinata al grande pubblico consumatore e che era entrata nella storia della televisione, della pubblicità e del costume italiano.

Un’intera generazione di italiani lo ricorda con affetto, come il compagno dell’infanzia.

Fu per molti bambini dell’epoca e, precisamente della generazione degli anni sessanta, lo spartiacque fra la giornata dei doveri e dei compiti e il momento dello svago; tanto che nel linguaggio comune di allora prese piede la frase: “e dopo Carosello tutti a letto”, espressione di innocuo e simpatico avvertimento serale nei confronti dei piccoli telespettatori.

In poco tempo divenne un appuntamento amatissimo e atteso e che scandiva le abitudini e i ritmi delle famiglie del nostro Paese.

Il termine carosello indica un complesso di vetturette, barche, animali di legno (detto anche, comunemente, giostra), che, fatto girare con un apposito meccanismo, serve per divertimento ai ragazzi nelle fiere.

E con diretto riferimento a questo significato, è stato dato il titolo di Carosello alla trasmissione televisiva, fatta di una serie di brevi scenette pubblicitarie che si susseguivano (pubblicità spettacolo), nella loro varietà, come i vari elementi di una giostra girevole.

Carosello iniziò il 3 febbraio 1957 e fu il primo spazio televisivo, dedicato alla pubblicità.

Andò in onda ogni sera, dalle 2050 fino alle 21, sul Programma Nazionale, allora unico canale RAI.

Ogni spazio pubblicitario era venduto alle aziende a un milione e cinquecentomila lire.

Ogni scenetta durava circa 2 minuti.

Il programma era il frutto di un compromesso tra la dirigenza della RAI ed i rappresentanti delle maggiori imprese che vedevano nel mezzo televisivo enormi potenzialità commerciali.

La RAI impose allora alle aziende di produrre pubblicità sotto forma di scenette.

Non dovevano esserci riferimenti espliciti o impliciti o incoraggiamenti all’amoralità, al sesso, alla violenza, al vizio, alla disonestà.

Una curiosità consisteva nel fatto che fossero esclusi gli spot sulla biancheria intima e nel fatto che vi fosse l’esplicito divieto di nominare parole considerate di cattivo gusto come forfora, sudore, depilazione.

Tutti i più grandi attori, registi, cantanti e disegnatori lavorarono a Carosello.

Ernesto Calindri, l’uomo del Cynar che salva dal logorio della vita moderna, Ubaldo Lay tenente Sheridan dell’aperitivo Biancosarti, Nino Castelnuovo atletico per olio Cuore, Paolo Ferrari con i fustini del Dash, Tino Scotti con il confetto Falqui che basta la parola, Carlo Dapporto con la sua Pasta del Capitano, Nicola Arigliano con il digestivo Antonetto, la sensuale svedese Solvi Stubing “sarò la tua birra”, Virna Lisi che con quella bocca può dire ciò che vuole.

E poi registi come Luciano Emmer, Luigi Magni, Gillo Pontecorvo, Ermanno Olmi, Sergio Leone, Ugo Gregoretti, Pupi Avati, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini.

Altra caratteristica fondamentale che contribuì alla popolarità di Carosello furono le sue memorabili sigle.

Si calcola che, all’apice della sua fama, nel 1976, Carosello giunse a inchiodare davanti alla televisione fino a 19 milioni di telespettatori.

Carosello chiuse nel 1977 dopo 7261 episodi.

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