QUANDO LA STAMPA FA SPETTACOLO PIU’ CHE DEONTOLOGIA…

Da qualche tempo, forse non trascurabile, abbiamo avvertito come la fisionomia del giornalista sia cambiata al punto da sollevare qualche appunto, non proprio a favore della categoria; e ciò, lo ha avvertito anche un ex direttore del più importante e vecchio quotidiano del nord-est, come Luigi Bacialli, il quale, forse preso dalla mia stessa riflessione, di recente ha scritto un libro a titolo “Lo scoopomane”.

Non ho avuto ancora occasione di leggere questo libro ma, sia dal titolo, che dalle notizie sentite in televisione, mi par di poter capire che il contenuto di questo “bestseller” vada a suffragare quanto penso oggi sul giornalismo. Fatte salve, come esistono in ogni contesto, le eccezioni che, per fortuna, ancor ci sono.

Che il fare giornalismo oggi sia diverso rispetto al tempo anche recente non ci piove, ma non tanto perché l’informatica ha rivoltato a 360 gradi il modus operandi delle redazioni, ma perché – come ultimamente uso scrivere spesso – la notizia, parlo di quella vera, non sembra più essere il frutto di un faticoso lavoro di ricerca da fornire al lettore, ma appare come una sorta di “gioco dell’oca” attorno al quale le varie redazioni ci costruiscono sopra, dopo aver attinto da una fonte unica, come potrebbero essere l’ANSA, l’ADNKRONOS ecc.ecc., determinando così un assoluto e quasi uniforme asservimento ad un sistema assai lesivo per chi legge. Per fare un esempio, se vuoi molto banale e forzato per far comprendere meglio ai non “addetti ai lavori”, a volte pare che venga messo più in risalto (si fa per dire) il colore dei calzini di un soggetto rispetto a ciò che specificatamente lo investe in un determinato fatto… Ed in questo, soprattutto la televisione, lo fa da padrona.

C’è anche da chiedersi, cosa che non condivido, il perché i cosiddetti “grandi nomi” del giornalismo abbiano in parte abdicato dalla carta stampata per privilegiare lo schermo ove, tutte le sere, si confrontano fra loro con modalità quasi “cattedratiche” per sciorinare esposizioni dialettiche che, per chi assiste, sembrano fatte apposta per fare sfoggio di distinzione dell’uno verso l’altro, trasformando tout court la loro professionalità da giornalisti ad attori di spettacolo. E talvolta, anche piuttosto scadente, a causa della continua spesso logorroica, presenza (il più delle volte richiesta dalle emittenti), che in tv mirano solo allo share, allo spettacolo e quant’altro.

Domanda, a mio avviso, molto seria: “ Ma questo tipo di giornalismo giova all’utenza o corre il rischio di produrre danno alla pubblica opinione, arrecando grave pregiudizio al pensiero collettivo” ? Che poi si traduce in mala politica, in conflittualità e diseducazione sociale ?

Chi vorrà capire, capirà

ARNALDO DE PORTI – Giornalista anno 1935

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