ASCESA, DECLINO E FUTURO POSSIBILE DELLE LISTE CIVICHE

A PARTIRE DALL’ESPERIENZA DI CATANZARO

di Domenico Bilotti

La legislazione elettorale per il rinnovo dei consigli comunali ha sempre riscosso molto successo, al punto che in più circostanze si è cercato di riadattarla al quadro politico nazionale per individuare la maggioranza parlamentare espressione della fiducia al Governo e al Presidente del Consiglio. In proposte del genere, quest’ultimo sarebbe dovuto divenire una sorta di “sindaco d’Italia”, con caratteristiche amministrative e procedure elettorali, invero, difficilmente configurabili, a pena di equilibrismi pasticciati, a Costituzione invariata. Fatto sta che la legge elettorale per i Comuni continua a piacere al livello locale in cui è applicata, per molte (e valide) ragioni. La presenza di un doppio turno consente normalmente alla prima tornata di fotografare la rappresentanza politica, anche nelle sue componenti meno cospicue, ma rende pure il sindaco eletto al secondo turno fornito di una idonea base consiliare per potere amministrare con (relativa) autonomia.

La frantumazione politica successiva alla fine della Prima Repubblica, unita a una legislazione comunale siffatta, ha dato il via a una stagione di grande proliferazione di liste e movimenti civici nei vari ambiti territoriali. La maggiore vicinanza tra l’eletto e l’elettore, necessaria nei circuiti amministrativi ristretti, autorizzava il superamento di steccati derivanti dalla sola affiliazione partitica. L’opinione pubblica voleva (e vuole) buon governo locale, non pedigree ideologici, tali solo nella forma e nei fatti consumati da malversazioni di ogni tipo. Lo slancio ideale di molte liste civiche della metà degli anni Novanta consentì di immettere nella politica italiana istanze che avevano prima ridottissima rappresentanza: l’ambientalismo, la lotta alla mafia, la tutela dei servizi pubblici locali, la sussidiarietà come metodo e governo della cooperazione sociale.

Anche quella fase si consumò in meno di un decennio. Dietro le istanze inclusivistiche del civismo fece la muta il serpente del trasformismo: trasversali a tutto pur di ottenere consensi e governare. E, nei casi più gravi, le liste civiche locali, assemblando pezzi di destra e di sinistra, clientele di ogni tipo e personalità ambigue, furono il miglior strumento di prosecuzione della cattiva politica. Basti vedere, nella storia dello scioglimento dei consigli comunali per le cd. “infiltrazioni mafiose”, quanti sindaci e consiglieri appartenessero a movimenti civici, magari da loro stessi promossi, per interesse proprio e non certo per il bene comune. Anche questa normativa meriterebbe di essere rivista, nella duplice direzione di essere più efficace contro le cointeressenze tra mafie e pubblica amministrazione e di risultare, però, meno invasiva rispetto alle procedure elettive. Un bilanciamento del genere non è mai facile, ma non è ragione per non provare a perfezionarlo.

Il contesto delle corruttele, degli affari illeciti consumatisi anche ai vertici nazionali delle diverse segreterie politiche, ha favorito, dal 2010 in poi, l’enorme successo elettorale di associazioni e movimenti come quello “CinqueStelle” di Grillo e Casaleggio. La formula comunicativa era facile quanto pericolosa: tutti uguali, tutti ladri, tutti a casa, votateci e li sfratteremo. Molte analisi di ogni orientamento ci hanno dimostrato che questa comunicazione politica, pur fotografando istanze genuine, è priva di veri contenuti operativi e di orientamenti di fondo che non siano un generico, indistinto e perciò inefficace “rifiuto di tutto”.

Date queste premesse, l’esperienza delle liste civiche a beneficio del buon governo cittadino poteva considerarsi disfatta, distrutta, incapace di riprodursi credibilmente. E, invece, a sorpresa per chi non ha saputo coglierne i sintomi, le imminenti elezioni amministrative di primavera sembrano sparigliare le carte un’altra volta e rilanciare il lato buono della partecipazione civica. Si parte dal non rivendicare affiliazioni di partito o adesioni dogmatiche a scuole di pensiero, ma dal declinare con grande decisione tutto l’impegno sulle specifiche questioni locali. Un laboratorio interessante si annuncia quello di Catanzaro, anche per il tramite del Movimento locale “Cambiavento”, promosso da Nicola Fiorita, docente universitario ed esponente di primo piano di forme inclusivistiche dell’associazionismo culturale degli ultimi decenni.

Il movimento ha le caratteristiche tipiche della riscoperta dell’impegno cittadino: grande varietà anagrafica e professionale degli aderenti; proposta programmatica tutta concentrata sul territorio e non sui grandi “divide” della politica nazionale (avvertiti, con comprensibili fastidi e sofferenze, anche nei contesti locali); determinazione ad intercettare il malcontento di massa verso una realtà urbana ormai poco speranzosa ed esasperantemente votata al disfattismo. A Messina e a Napoli si mossero fattori simili, con risultati profondamente diversi. A Napoli, contro ogni iniziale scetticismo, De Magistris ha cementato un consenso personale che, però, pare corrisponda anche a un certo apprezzamento verso le scelte locali. A Messina, un progetto alla nascita ancor più scevro da strumentalizzazioni è divenuto la piattaforma di un’amministrazione che ha disperso molto del proprio consenso iniziale e che si vede ormai molto più spesso sulle reti nazionali che non sulle criticità zonali. Un’amministrazione che così rischia di sembrare ciarliera e facilona anche quando combatte battaglie importanti. Inversioni di rotta, pur attese, fanno davvero fatica a rappresentarsi.

Quanto a Catanzaro, alcune incognite restano, ma riguardano più gli altri partiti locali che non il movimento, che non ha mai nascosto la propria ambizione di governo nella città: come agire rispetto a questo competitore, apparentemente nato in sordina e poi in grado di “scaldare” un elettorato che si è espanso per cerchi concentrici? Seguirne e incentivarne la crescita o affrontarlo nell’agone elettorale per romperne i velleitarismi? Già che ci si ponga domande siffatte certifica la rilevanza, la tipicità e la riconoscibilità sociale di una proposta civile. E dietro questa riarticolazione politica non ci sono solo le contingenze locali, piccole e grandi, ma anche precipue domande per il governo nazionale e i partiti che lo hanno costituito o ad esso si sono opposti.

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