L’Associazione Scienza & Vita esprime profondo rammarico e disappunto di fronte all’iniziativa della Regione Lazio concernente l’utilizzo della pillola RU 486 al di fuori del contesto normativo fissato dalla legge 194/78.

L’Associazione Scienza & Vita esprime profondo rammarico e disappunto di fronte all’iniziativa della Regione Lazio concernente l’utilizzo della pillola RU 486 al di fuori del contesto normativo fissato dalla legge 194/78.

“Secondo la sperimentazione prevista nel Lazio – spiega Emanuela Lulli, ginecologa e consigliere nazionale di S&V -, infatti, la somministrazione della pillola abortiva non avverrebbe più in ospedale, o in strutture ad esso assimilate, come previsto dall’art. 8 della legge stessa, ma addirittura nei consultori familiari dove, a detta del Direttore Generale del Dipartimento Salute e Politiche Sociali della regione Lazio, alle donne potrebbe essere offerta 'un’assistenza multidisciplinare'. Dunque dovremmo intendere che invece, fino ad oggi, alle donne che si sono rivolte all’ospedale per questa triste attività non veniva offerta la migliore assistenza possibile, anche di tipo multidisciplinare?”

“Ed invece, ancora una volta sulla pelle delle donne, si rischia di lasciarle sole due volte: sole nella scelta, perché quasi mai il sostegno alle difficoltà che indurrebbero la donna ad abortire è tale da consentirle un vero ripensamento, e sole nella 'esecuzione' della interruzione, che avverrebbe fuori dal contesto ospedaliero, al domicilio della donna stessa.

Qualcuno è arrivato a sostenere che 'l’obbligo di ricovero non è un obbligo sanitario, ma ideologico e politico': che dire? Non è mistificando la realtà che questa può essere cambiata. Le ragioni della tutela sanitaria che portarono nel 1978 a scegliere la ospedalizzazione sono valide ancora oggi, e certamente il contesto clinico e psicologico appare oggi come allora meritevole della miglior tutela ed attenzione verso la donna, la sua solitudine e la sua difficoltà.

Nè poteva mancare la “solita” polemica sulla obiezione di coscienza: sarebbe colpa dei medici obiettori se le donne non possono fruire di un “servizio” ed esercitare un “diritto”. In realtà i dati contenuti nella relazione annuale al Parlamento dicono che il numero di IVG praticato in media da ogni ginecologo non obiettore è inferiore a 2 interventi/settimana, e che i ginecologi non obiettori sono in numero congruo rispetto al numero complessivo di interruzioni che vengono richieste e che, comunque, sono ancora ben 96.578! Ma il dato fondamentale resta: il diritto alla obiezione di coscienza è diritto costituzionalmente garantito e, ove non lo fosse, da garantire.

Di fronte a tutto ciò, – conclude Lulli – dovremmo provare a cambiare rotta: perché non consentire finalmente che i consultori, anziché luoghi di dispensazione di pillole abortive, possano svolgere quel ruolo di prevenzione dell’aborto che la legge 194 attribuisce loro? Perché non dotare quei servizi di risorse adeguate a fronteggiare le esigenze rappresentate dalle donne e che costituiscono il motivo reale delle interruzioni? Perché non rendere almeno efficace l’intervento previsto dall’art. 5, là dove si chiede che il consultorio “in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante” si adoperi per “esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta … le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause …, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”?

Umberto borzi

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