L’AVVOCATO DEL DIAVOLO: BURKE, L’AMERICA E LA CHIESA

di Domenico Bilotti

Il vescovo americano Raymond Leo Burke rappresenta persino suo malgrado la componente cattolica della società americana che guarda con sfiducia agli esiti pratici e giuridico-formali del Pontificato di Francesco. Laddove il Papa apre, squaderna, lancia idee (anche quando non le percorre a fondo), Burke è un canonista rigido, cui non interessano particolarmente i bagni di folla o gli aggiornamenti dottrinali a tutti i costi. Il Papa guarda in modo sin qui ancora non del tutto chiaro alla conformazione istituzionale della Chiesa e ai suoi rapporti con le società secolari. L’arcivescovo del Wisconsin è invece attentissimo alla slavina valoriale della società e della Chiesa occidentale, al punto che declina, in modo spesso esageratamente enfatico, i problemi che vede all’orizzonte: smembramento della famiglia tradizionale, islamizzazione, recupero della tradizione ecclesiastica.

Burke è stato inoltre tra i capofila di quell’orientamento interno alla Chiesa cattolica, e trasversale alle appartenenze nazionali, che ha chiesto al Pontefice chiarimenti serrati sul recente documento magisteriale “Amoris Laetitia”, chiamato a raccogliere il risultato delle assisi sinodali sulla famiglia e sulle sue modificazioni socioculturali. “Amoris Laetitia”, a dispetto di quanto sia apparso a Burke e agli altri alti prelati che la hanno indicizzata, non è un documento a senso unico, tutto proteso alla rivoluzione copernicana degli assi canonici in materia di matrimonio e famiglia. E “Amoris Laetitia” non è nemmeno la celebrazione di una transizione epocale, come vorrebbero gli intellettuali e gli opinion leader che cercano di rinvenire nelle frasi di Papa Francesco il sostegno per ogni loro causa. “Amoris Laetitia” è, piuttosto, un documento che tiene conto di alcune – ancora applicativativamente poco chiare – modifiche al diritto matrimoniale canonico, della trasformazione della famiglia nel diritto laico e secolare, nonché della necessità di ricomporre l’Episcopato, dopo il Sinodo, intorno a pochi e chiari inviti pastorali. Mitezza di giudizi, il più possibile circostanziati, e non condanne dottrinali. Difesa delle coordinate interpretative del diritto naturale, senza la pretesa di forzare la mano fino a gettare discredito e disdoro su tutto ciò che a esso non manifesti conformità. E ancora: approccio non ostile ai soggetti civilmente divorziati, qualche segno di ripresa del dialogo ecumenico (soprattutto a Est) e interreligioso.

Che piaccia o meno a conservatori e tradizionalisti, e a modernizzatori e a laicisti, “Amoris Laetitia” non impone rivoluzioni, né tradisce alcuna fisionomia fondante del diritto ecclesiastico e del diritto canonico. Non lo avrebbero richiesto né consentito le circostanze storiche, non avrebbe corrisposto al sentire diffuso (mai così disomogeneo) delle opinioni pubbliche cattoliche.

Lo stesso Cattolicesimo americano, del quale Burke è esponente qualificato, ha almeno due diramazioni nella società statunitense di oggi. La visione tradizionalista di Burke, che risponde a proprio modo, e anche con propri limiti, alle sfide giuridico-culturali dell’attualità (migrazioni, scetticismo diffuso, crisi sociali), fronteggia il Cattolicesimo di ispirazione vagamente progressiva, che declina in modo a volte irenico alcune istanze pur particolarmente apprezzabili, ma attuate in modo da puntellare (un associazionismo onnivoro e invasivo, la carenza di contenuti elaborativi, l’oblio dei malesseri sociali in virtù di declinazioni forzatamente ottimistiche della società).

È probabile che la polemica lanciata da Burke, che era al contrario noto per il suo profilo molto poco mediatico, si spegnerà in un battito d’ali: poco centrata rispetto alle esigenze immediate dei fedeli, incapace di ricoagulare il consenso di massa intorno ai valori cristiani, destinata a venire sconfitta, persino sul piano giuridico e dottrinale, rispetto all’enorme successo dell’immagine pubblica di Bergoglio.

Ci sarebbe da riflettere su altre tematiche. Una su tutte: forse la Chiesa è ancora in una fase di peregrinazioni. Se per qualcuno essa non riesce più a rispondere alla sua tradizione, certo non muove ancora in una direzione univoca. La ripresa di un dialogo selettivo e qualificato rispetto ai tempi dovrebbe partire da questa dichiarazione di non autosufficienza. A dispetto di chi vorrebbe una Chiesa nuovamente contro-riformata, ma anche e soprattutto contro chi proclama con boria e confusione metodologica una fase rivoluzionaria che ancora non viene enucleata.

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