Il dramma dell’inquinamento.Taranto e l’Ilva: una città  di Malavoglia e pellerossa

Il ciclo dei Vinti, così il grande Giovanni Verga aveva programmato e intitolato una serie di romanzi. Nacquero pertanto i Vinti Malavoglia, Mastro don Gesualdo e altri vinti che, già nelle sue novelle, morivano di stenti come Nedda o di malaria come Mazzarò. E più vinta ancora sarebbe stata una città che Verga non conosceva; una città che, per anni, ha sopportato passivamente l’onta di chi si vendeva per un pugno di dollari.

Una città che taceva e moriva e non si rendeva conto del perché di tante morti, di tante malattie dovute a un cielo impietoso, al destino che fatalisticamente e meridionalisticamente… si accettava per miseria, per fame, sperando in quella Provvidenza che rappresentavano il Siderurgico, l’Eni, l’Arsenale, la Marina. Invece “La Provvidenza” si rivelava tale e quale la barca dei Malavoglia, che questo nome aveva. Una barca che andrà a fondo con quel carico di lupini, per di più guasti, che avrebbe dovuto portar giovamento alla famiglia del povero Bastianazzo il quale, invece, morirà in mare.

Davvero un carico di lupini guasti si è rivelato l’illusorio benessere…dell’Ilva. Qui non muore soltanto la buon’anima di Bastianazzo. Qui moriamo tutti quanti noi: i nuovi Vinti e non di sola malaria, di mala sanità, di mala sorte, mala cozza, malo mare, di mala aria…, mal’Eni (che non c’entra nulla con la Malena interpretata dalla Bellucci), di mala morte e mal’amministrazione… Si credeva una volta che le febbri malariche fossero originate dall’aria insana, infetta delle paludi e non dalle zanzare; sì, la cattiva aria: la malaria. Forse, invece, la Mal’aria…, l’aria cattiva, qui a Taranto, c’entra e fa morire.

Se non si muore, te la cavi con qualche permanenza presso il “Gemelli” di Roma, dopo, ovviamente…, aver pagato fior di quattrini ai professori che ti opereranno ai reni, al torace, al fegato, alla tiroide e in posti diversi del corpo umano, martoriato dalla Mal’aria o dalla Malilva… Quanti soldi e quanti dolori fisici e morali dovrebbe pagare l’Ilva a chi soffre le pene dell’inferno in operazioni difficili, quando la morfina non basta ad alleviare il dolore e tu non puoi gridare, lamentarti perché accanto a te c’è chi soffre come o più di te e non puoi piangere perché un uomo non piange, non deve piangere se soffre o vede una madre, una sorella, un figlio soffrire, morire. E ora scusate se cito un brano intitolato Malaria, proprio come la novella di Verga, tratto dal mio romanzo “I butteri, Buffalo Bill, Il West” che parla di una terra amata e di uomini rassegnati nel loro muto dolore.

Rivedevo, davanti ai miei occhi le grandi estensioni di una volta… La malaria s’aggirava nell’aria e mieteva morte più che la Morte stessa. Il lavoro non dava benessere ma era il solo mezzo per sopravvivere in quella terra bella ma malsana. Era una maledizione che ci legava al luogo natio per il quale si sentiva amore e tristezza in quanto non dava nessuna speranza. E male si nasce, si vive male e male si muore…”[1]

Leucemia, sclerosi multipla, cancro e può darsi chissà quanti altri mali ci provengono dal benessere… delle industrie che hanno inquinato non certo solo l’aria ma quel nostro mare che era la nostra ricchezza. Povera, innocente Ilva che, capovolgendo una favola di Fedro, Lupus et agnus, sintetizzo.

Il lupo che stava dall’alto diceva all’agnello:

– Tu m’insozzi l’acqua e, se non sei stato tu, è stato tuo padre o tuo nonno. –

Ora il nuovo lupo dirà all’agnello:

– Non sono io che inquino, è la pecora o la nonna della pecora o lo Stato pecorino… –

La satira “ridendo castigat mores” (la satira ridendo castiga i costumi) scriveva il buon Orazio e speriamo che pure la mia modesta satira castighi… o qualcuno l’ascolti o meglio la senta nell’anima.

Taranto: Convegno internazionale sulla salute.

Salute a Taranto? – Ma mi faccia il piacere! – Esclamava il grande Totò. Ma dove sta, di chi è, chi ce l’ha? Solo il medico di Totò, il medico dei pazzi… direbbe una cosa simile. Eppure il convegno c’è stato…

Nell’accesa discussione è intervenuto addirittura il noto scienziato disnejano Pico De Paperis il quale ha sentenziato: – Una mia recente invenzione, è…, in verità, una scoperta sensazionale. La diossina, non solo, non è cancerogena ma è dotata di effetti benefici per uomini, pecore e cozze. Diossina: l’elisir di lunga vita! Elisir anche d’amore, una specie di viagra per gli uomini e di vitalità e bellezza per le donne. I bambini poi, con un giusto dosaggio di diossina, respirando direttamente, mi raccomando… le polveri dei Tamburi, non si ammaleranno più di leucemia o di tumori e cresceranno sani e belli con il latte “diossinico” Cozze allattemàte si diceva una volta e, infatti, cozze con latte ovviamente di pecore italsiderine pure e vergini… Pure… come certi personaggi locali che andrebbero messi tutti in un alto forno o nell’inceneritore, insieme e alle cozze diossinate (sic) o alle pecore disossate che belano ancora nell’oltretomba pecorinico, ove non c’è nessun buon pastore che le salvi…Di pecorelle, smarrite anzi di pecoroni… ce ne son invece tanti che, nuovi accattoni, si sono accontentati degli spiccioli elargiti spilorciamente dall’avaro Paperon dei Paperoni… oppure tacciono, non fanno nulla, sanza infamia e sanza lodo, aspettando soltanto che la città si svuoti definitivamente, abbandonata dai morti e dai vivi.

Il grande ministro Azzeccacarbugli ha intanto confermato:

– Nel prossimo futuro, non ci saranno più morti per tumori e altre malattie che colpiscono dal sistema immunitario a quello nervoso. La diossina non ha mai danneggiato nessuno ma migliora le condizioni di donne, bambini e anziani di Taranto che sembrano ringiovanire in quanto ha doti altamente curative ed è il santo Graal del post duemila, è il fodero di Excalibur che guariva da ogni ferita. L’industria è la salvezza di Taranto, dell’Italia e del mondo! Verranno da ogni parte dell’universo i turisti (Turismo spaziale o nella spazzatura?) a villeggiare a Taranto, la città dei due mari (o dei due tumori… a testa) rassicurati dal benessere e dall’aria o cambieranno aria… per sempre…-

Un capo indiano, Gonna Rossa diceva:

– Come potete comprare o vendere il cielo o il calore della terra? Ogni parte di questa terra è sacra per la mia gente. Ogni ago di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni foschia nei boschi ombrosi, ogni radura è sacra alla memoria del mio popolo. –

E noi indiani del Sud… sentiamo tutta la sofferenza di uno schiavismo che perdura nell’ipocrita perbenismo, nel menefreghismo imperante e nella considerazione dello pseudo benessere economico elargito da chi strumentalizza i lavoratori dell’industria e dimentica che esistono pure altre masse di lavoratori dell’agricoltura, della pesca, della mitilicoltura i quali all’industria locale devono il loro fallimento e la morte. Il lavoro prima di tutto?

A qualcuno vorrei chiedere: – Quando sarai morto… come farai a lavorare? –

Ora, però, torno serio e riporto i pensieri più autorevoli dei miei: quelli dell’Arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, che rispecchiano quelli del Papa Benedetto XVI e che vertono sulla salvaguardia del creato: – -L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento. Occorre annunciare queste verità con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato…-

Già, non siamo i padroni della terra ma i suoi figli. Lo sostenevano già i Pellerossa d’America.

E oggi voglio far l’indiano… e riportare anche il pensiero del famoso Toro Seduto:

– L’uomo bianco tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come cose che possono essere comprate, saccheggiate o vendute come pecore… Il suo appetito divorerà la terra lasciandosi alle spalle solo un deserto… questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo, l’uomo appartiene alla terra…Qualsiasi cosa accada alla terra accadrà ai figli della terra. –

Certo è che il nostro cielo ha dei colori stupendi e i nostri tramonti sono indimenticabili e romanticamente fanno sognare… E poi quando sorge l’aurora dalle dita rosate, direbbe Omero, rieccola la nuvola rossa che mi fa tornare nel West…nostrano. Nuvola Rossa, famoso capo indiano, entrato nella leggenda, sembra si sia trasferito nelle grandi praterie dei nostri cieli ove una solida nube è eternamente sospesa, come una cappa di piombo e non solo metaforica. E di Nuvola Rossa cito un pensiero analogo al mio…

Quando l’uomo bianco arriva nel mio paese lascia una traccia di sangue dietro di sé… –

A buon intenditor poche parole…

Già, i cieli rosso fuoco con sfumature rosa… Taranto in technicolor… come un film western degli anni 50. Uno sfondo rosa… due innamorati si baciano, si dicono addio e vanno Via col vento… delle polveri… di Tamburi lontani; si sente una musica sublime ed esce la scritta The end (la fine) e i due innamorati si avviano insieme… verso… San Brunone City…

Luigi Vellucci


[1] Il brano è tratto da “I butteri, Buffalo Bill, il West” di Luigi Vellucci.

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