La più alta autorità giuridica della Svizzera, il Tribunale Federale, ha confermato il diritto di due impiegate presso il Consolato generale d'Italia a Lugano, a vedersi riconosciute le differenze salariali dal 2013 come compensazione del danno passato e futuro conseguente alla svalutazione dell'euro rispetto al franco svizzero e alla disparità di trattamento nei confronti dei colleghi con mansioni uguali remunerati in moneta svizzera. Una sentenza pubblicata ieri dall'Alta Corte elvetica ha, infatti, dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero degli Affari Esteri italiano avverso una sentenza del Tribunale d'appello ticinese del settembre 2016 che aveva a sua volta respinto un altro ricorso della Farnesina contro una precedente decisione del giugno 2015 del Pretore di Lugano. Il primo giudice aveva, infatti, aveva parzialmente accolto le richieste delle due dipendenti che avevano chiesto rispettivamente, la prima 54.464,65 euro di salari arretrati e il riconoscimento di un aumento annuale di 11.268,55 euro, mentre la seconda avanzava pretese arretrate di 47.972,25 euro e un aumento di 9.925,30 euro all'anno. Il giudice ticinese aveva condannato il Ministero degli Affari Esteri a pagare alle donne gli importi da loro chiesti a titolo di adeguamenti arretrati ma riducendo a 9.714 euro l'aumento futuro per la prima e a 3.740 euro per la seconda. Secondo la giurisprudenza italiana, spiegano i difensori delle due impiegate, la norma in questione attribuisce al datore di lavoro la facoltà di concedere adeguamenti salariali, ma non dà al dipendente il diritto di pretenderli. Le opponenti, però, per il Tribunale Federale, “obiettano con ragione l'inammissibilità di questa censura, poiché l'applicazione erronea del diritto estero può essere motivo di ricorso in materia civile soltanto nelle cause di natura non pecuniaria”. Ed è proprio questa applicazione erronea a essere costata al Ministero la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso, oltre al pagamento di 6.000 franchi per spese giudiziarie e 7.000 a titolo di ripetibili alle due impiegate. Una figuraccia, quella italiana, ampiamente pubblicizzata sui media svizzeri, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che dimostra ancora una volta come negli altri stati europei, anche non dell'Unione, la concezione statale dei diritti dei lavoratori conosce avanzamenti e non arretramenti come sta accadendo nel Belpaese ormai da una ventina d'anni di demolizioni di conquiste civili nel campo del diritto del lavoro.
Lecce, 29 marzo 2017
Giovanni D’AGATA