S.E. Mons. Paul Kariuki Njiru, Vescovo di Embu (Kenya), ad ACS-Italia:

Massimiliano Tubani
ACS-Italia
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“Nonostante nel corso degli anni siamo stati testimoni di una notevole crescita della fede cristiana in Kenya, le sfide non sono mancate. I keniani sono stati vittime di attacchi terroristici da parte di estremisti islamici, i quali hanno preso di mira principalmente i cristiani.”. S.E. Mons. Paul Kariuki Njiru, Vescovo della diocesi keniana di Embu, in una conversazione con ACS-Italia descrive così, in sintesi, le luci e le ombre che la comunità cristiana della nazione africana sta sperimentando. Dopo aver ricordato i “barbari attacchi” al centro commerciale Westgate di Nairobi (2013), al Garissa University College (2015), e il più recente, verificatosi nella provincia di Mandera (2016), il presule nota che “si attaccano solo i cristiani al fine di inserire una sorta di ‘cuneo’ fra gli stessi cristiani e i musulmani”, tentando di far apparire questi ultimi come “simpatizzanti di Al Shabaab.”. Ciò costituisce una “situazione molto pericolosa, che facilmente può causare conflitti religiosi.”. Per questo motivo, per l’episcopato cattolico keniano “il dialogo con i leaders cristiani e musulmani in Kenya è di primaria importanza allo scopo di garantire una comune e coraggiosa denuncia della violenza, in particolare quella commessa in nome di Dio.”.

Secondo Mons. Kariuki Njiru “il governo sta facendo del suo meglio nel garantire la sicurezza. Gli attacchi non si verificano in ogni parte del territorio keniano. Nella mia diocesi di Embu per esempio non ci sono stati attacchi, ma la situazione è molto diversa nelle diocesi confinanti con la Somalia, o in quelle del nord e del nord-est. Queste aree sono maggiormente esposte ad attacchi terroristici, e in esse lo Stato ha intensificato i controlli. I luoghi di culto sono di norma sorvegliati. Ma nonostante queste lodevoli iniziative assunte dalle autorità gli attacchi si verificano ancora.”. Per questo motivo, nota il presule, “la sicurezza non può essere affidata alle sole autorità statali. I keniani stessi sono diventati più consapevoli, e riferiscono alla polizia di chiunque possa rappresentare una minaccia. Il governo infatti ha varato un programma per le aree urbane, denominato “nyumba kumi”, che in Swahili letteralmente significa “dieci case”. Ha lo scopo di responsabilizzare i cittadini, coinvolgendoli nelle questioni riguardanti la loro stessa sicurezza. Ognuno infatti dovrebbe conoscere i vicini presenti in almeno ‘dieci case’, e se viene notata qualche persona sospetta viene segnalata alle autorità.”.

Ma non ci sono solo problemi di sicurezza. Nonostante la Chiesa in Kenya “stia imparando ad essere autonoma”, ci sono diocesi che “hanno bisogno di essere sostenute. Sono quelle presenti nelle aree desertiche o semi-desertiche. Metà della mia diocesi, Embu, è semi-desertica. I cristiani di queste aree, nonostante la buona volontà di sostenere la Chiesa, non sono nelle condizioni di farlo, perché a causa della siccità mancano anche di cibo e acqua.”. Per questi motivi Mons. Kariuki Njiru conclude con un pensiero rivolto ai benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre, manifestando apprezzamento per “il lavoro e le iniziative della Fondazione pontifica. Sono particolarmente grato per il sostegno già reso e che continuate a garantire alla Chiesa in Kenya, e vi incoraggio a continuare su questa linea.”.

Come riportato nel Rapporto annuale 2016 della Fondazione (dati 2015), ACS ha realizzato in Kenya progetti per un totale di euro 849.259,54.

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