Dopo le legittime barricate dei cittadini di Goro e Gorino per fermare l'esproprio di un ostello e l'arrivo di clandestini, il capo del dipartimento Immigrazione del ministero degli Interni, prefetto Mario Morcone, ha letteralmente insultato gli autoctoni allergici all'ibridismo delle razze: “Quelle persone che hanno impedito la sistemazione di donne e bambini si devono vergognare. Chi non vuole i migranti lasci l'Italia e vada in Ungheria”. A parte il fatto che i muri dell'Ungheria hanno permesso all'ex paese del blocco sovietico una continua florida crescita economica e il mantenimento dell'identità cristiana e culturale del popolo, la domanda che bisogna porsi è: in tempi di crisi economica, ha ancora senso mantenere una dispendiosa impalcatura napoleonica come quella dei prefetti? Mentre lo Stato non mantiene le promesse nel restituire alle imprese i crediti d’Iva o nel pagare le forniture della pubblica amministrazione alle aziende private che le hanno erogate, con la conseguente spesso chiusura per fallimento dell’attività, ha senso dirottare fiumi di risorse all'esercizio dell'esproprio amministrativo e gestionale, e di fatto militare del territorio? Lo stato, centralista e contemporaneamente succube alle direttive Ue e dell'America obamiana, ha abolito i confini e le dogane, ma ha lasciato che le prefetture (a memento che: “Roma&Ue caput mundi”!), ficchino il naso nelle realtà locali. Pochi sanno che la figura del prefetto fu istituita da Napoleone per meglio vigilare i territori conquistati dall'infausta rivoluzione francese. La figura del “dittatore territoriale” fu successivamente mantenuta e potenziata dal fascismo. Nel 1944, Luigi Einaudi ne chiedeva l'abolizione perchè contraria al principio di democrazia. In tempi di spending review e soprattutto in base al decantato (a parole) principio di sussidiarietà, i cittadini devono rifiutarsi di farsi prendere a schiaffi dalle ugge del prefetto di turno e soprattutto pretendere l'abolizione di una figura totalmente decorativa, pletorica, prepotente e costosa!
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