MARGINALMENTE n. 102 del 15. Ott. 2016-10-11


Fo, Albertazzi, Dylan, Salò e i Nobel

Giovedì è morto Dario Fo. Grande attore e uomo di vasta cultura, certo, ma quando nel 1997 gli fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura molti (e io fra questi) non poterono che restare quantomeno stupiti. Però negli ultimi anni, quando abbiamo visto che un altro attore comico è diventato capo del primo partito italiano, abbiamo compreso meglio come le vanno le cose nel nostro Paese e anche altrove. A proposito di attori, pochi mesi fa è morto un altro grandissimo protagonista delle scene: Giorgio Albertazzi. Stranamente, sia Dario Fo che Giorgio Albertazzi nel 1943 entrarono a far parte della Repubblica Sociale Italiana, la cosiddetta Repubblica di Salò dei fedelissimi di Mussolini. Ma, ancor più stranamente, mentre ad Albertazzi è stato rinfacciato sino all’ultimo (e anche dopo morto) quella scelta, a Dario Fo non è mai stata detta una sola parola di riprovazione.


Infine, a proposito di Nobel, lo stesso giorno della scomparsa di Fo è stata annunciata la nomina del nuovo Premio Nobel per la letteratura di quest’anno: l’alto riconoscimento è stato assegnato al cantautore statunitense Bob Dylan per i testi delle sue canzoni. Beh, allora scusate ma, con tutto che sono un ex ragazzo e musicista degli anni Sessanta, mi incavolo: se Dylan è Nobel, ai nostri immensi Mogol e De Andrè cosa dovrebbero dare?



Rai: la festa è finita?


L’Unione europea ha infranto il recinto magico all’interno del quale Mamma Rai per oltre mezzo secolo ha fatto i propri comodi, e ha costretto la tivvù di Stato a entrare – dal primo ottobre – nel recinto della pubblica amministrazione com’era giusto e logico che fosse.


Questo significa che gli stipendi dei dirigenti non potranno superare la quota stabilita per i ministeri, le assunzioni non potranno più essere fatte a chiamata diretta per premiare compari e comparielli, e i contratti per la realizzazione di programmi e quant’altro non saranno più assegnati a discrezione dei dirigenti, ma attraverso bandi di gara.


A parte le innumerevoli porcherie compiute in mezzo secolo coi soldi dei contribuenti, indimenticabile quella stagione in cui venne alla luce che la suocera di Gianfranco Fini era diventata dalla sera alla mattina titolare di una società alla quale la Rai affidava la realizzazione di programmi milionari; e lo stesso trattamento veniva riservato a una società che faceva capo alla moglie del braccio destro di Fini, Italo Bocchino. Naturalmente, la storia di quei “parvenu” di destra (televisivamente parlando) fece scalpore ma forse principalmente perché rompevano il monopolio della sinistra. Possiamo dire che ora la “ricreazione” è finita? Aspettiamo a cantare vittoria perché la nuova sinistra di governo non sembra soggetto incline a mollare l’osso.


La Rai e la trovata renziana


E bravo il nostro “amato leader”! sembra proprio che dopo i fuochi d’artificio iniziali siano iniziate, come diceva Totò, le “fetecchie”.


Una di queste, parlando di Rai, è quella del canone in bolletta che doveva essere la panacea per tutti i mali, l’ammazza evasori, eccetera. Invece, quando si dice il destino, col canone in bolletta le entrate sono diminuite e non di poco. A luglio, quando si è pagato insieme all’energia elettrica anche il canone, per la Rai è entrato un bel miliardo tondo tondo ma…mancano 300 milioni. Le previsioni, infatti, parlavano di un miliardo e trecento milioni di euro. Complimenti, presidente!


Un Senato quasi minorenne?


E rieccoci con le cavolate di Renzi e suggeritori vari. La famosa riforma costituzionale per cui il nostro primo ministro si straccia quotidianamente le vesti, conterrebbe qualche strafalcione di troppo. La “capa” di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha messo in guardia su un futuro Senato composto da sbarbatelli. Infatti, poiché con la riforma del Senato potrebbero essere nominati sindaci e i consiglieri regionali; e poiché la legge non prevede un’età minima per queste cariche; lorsignori potrebbero mandare in Senato uno o più sindaci o consiglieri diciottenni.


Il paradosso non è solo la differenza fra il sistema attuale, che fissa l’età minima a 40 anni, e l’eventuale futuro aperto ai giovanissimi; ma il fatto che avremmo una Camera dei Deputati il cui l’accesso è vietato a deputati minori di 25 anni, e un Senato (derivante dall’antica Roma e dal Regio Senato sabaudo in cui sedeva gente del calibro di Alessandro Manzoni, Giuseppe Verdi, Giosuè Carducci, Benedetto Croce, Guglielmo Marconi, Giovanni Gentile, ecc.) in mano agli adolescenti.


Giovani e vecchi


Le recenti notizie sull’invecchiamento della popolazione e della fuga dall’Italia, in un solo anno, di 107mila giovani per lo più laureati o almeno diplomati, ha scatenato servizi su tutti i giornali. In sintesi, il Sole 24 Ore ci fa sapere che oggi ci sono 144 anziani ogni 100 giovani, ma nel 2050 ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani. Il Messaggero annota che l’Italia ha superato la Svezia (quindi è al primo posto) per numero di ottantenni, e due ottantenni su tre (media europea) sono donne. Il Giornale, infine, ricorda che il Ministero della Salute ha affermato che se continuiamo a non fare più figli di quanti ne facciamo ora (pochi) nel 2050 l’84 per cento degli italiani sarà formato da ottantenni inattivi. Avviso ai lettori: ammesso che tutti si arrivi al 2050, chi mai potrà ricordarsi fra 34 anni dei numeri al lotto dati oggi?


I poveri stanno meglio. Ma non in Italia


Continuiamo a dare i numeri. Secondo la Banca Mondiale, il mondo sta meglio oggi di 25 anni fa. In generale, stanno meglio i poveri dei Paesi poveri, ma anche – in misura minore – in Europa, con l’eccezione di Italia, Grecia e Francia dove, addirittura, i poveri stanno peggio oggi di 25 anni fa. Pensate (la fonte è Repubblica) che in Italia il reddito nazionale è sceso in media dell’1,82 per cento l’anno, mentre per i più poveri è sceso del 2,66. Della serie: piove sul bagnato.


E’ l’America, bellezza…


Donald Trump sembra essere l’uomo più odiato d’America: tutti i grandi giornali, le emittenti televisive, attori e scrittori, tutti gli sono contro. Naturalmente i media italiani – che da sempre strizzano l’occhio a qualunque sinistra, anche a quella americana – fanno da grancassa manco si dovesse votare anche noi alle presidenziali americane. A seguito delle recenti accuse per frasi sessiste e testimonianze indimostrabili di palpeggiamenti tirate fuori a distanza di trent’anni, il tycoon sembrava spacciato. Invece, a sorpresa (e in un cauto silenzio mediatico) l’altro ieri è uscito un sondaggio che dà Trump addirittura due punti avanti all’avversaria Clinton.


Vuoi vedere che gli americani sono meno boccaloni di noi italiani? Viene da dire, parafrasando Humphrey Bogart , “E’ l’America, bellezza!”


E’ l’audience, bellezza…


Matteo Renzi è convinto che più parla più sembra bello. Il presidente del Consiglio che gira come una trottola per l’Italia e per gli studi televisivi (e quando ha il tempo per studiarsi una legge?) ha preso una “tramvata”, come si dice in gergo. Presentatosi a “Politics”, nuovo talk show della “rieducata” Rai3, ha raccolto un misero 5,72 per cento di audience mentre il suo avversario grillino, Di Maio, in contemporanea su La7, ha preso oltre un punto in più. Il Matteo nazionale non ha calcolato che anche il più divertente film, se trasmesso ogni sera, fa dire “uffà!” anche agli appassionati. Insomma, egregio Renzi, attento all’ indigestione, “E’ l’audience, bellezza!”.

Antonio Biella

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