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FAUSTO GULLO E IL CUORE DEL DIRITTO: UN LIBRO RECENTE DI OSCAR GRECO

Ci volevano tutto il rigore metodologico e tutta la tenacia personale di Oscar Greco affinché giungesse alle stampe un volume che raccogliesse l’epistolario di un uomo politico calabrese del secolo scorso (Caro Compagno. L’epistolario di Fausto Gullo, per i tipi di Guida, Napoli). La curatela del Greco è certosina: dividere e ordinare una mole di lettere, seguendo periodi storici, controversie politiche, lotte sociali. E il curatore dà conto di un’appassionata elaborazione storico-teorica nel presentare la raccolta. Con modestia, con i dati dell’epistolario a fargli compagnia e con la letteratura sulla società meridionale del Dopoguerra sempre riccamente riprodotta in nota, ricostruisce il vero ed autentico itinerario politico e concettuale dell’onorevole Gullo, smontando luoghi comuni, ripercorrendo battaglie civili e offrendo, in ultima analisi, uno spaccato autorevole di un comunista del tempo che fu, talmente intransigente nel difendere i principi socialisti da dissentire apertamente con la linea ufficiale del suo partito. Quel partito troppo spesso schiacciato tra le sirene di una involuta vocazione social-democratica e la permanente e rapace suggestione dei miti terzinternazionalisti, oramai agli sgoccioli con la Storia e ben saldi nel rapporto autocratico e aristocratico con le istanze conflittuali della povera società calabrese.

Il lavoro del Greco è prezioso per chi si occupa di diritto. L’epistolario, qua e là, torna su questioni che videro Gullo in prima fila al tempo dell’Assemblea Costituente. Al falso federalismo regionalista (la mostruosa bandiera che dal ’48 ad oggi attira gli appetiti peggiori) anteponeva una politica delle autonomie comunali netta e municipale, nel senso più autentico della parola. Al Togliatti che temporeggiava sull’introduzione della Corte Costituzionale in Italia (il vero nucleo scientifico della rivoluzione e della volontà popolare o era togliattiano o non era), Gullo opponeva argomenti sulla composizione preferibile nella futura Corte. Al Togliatti, ancora, che si accingeva a far varare, con “tattica” più che con “strategia”, l’articolo 7 della Costituzione e la salvaguardia dei Patti del Laterano, il laico Gullo contrapponeva argomentazioni giuridico-costituzionali valide sul profilo anticorporativo e antiprivilegiario che avrebbe voluto per la sua repubblica. “Ministro dei contadini”, il giurista Gullo, ma che non fu affatto il Ministro di Giustizia “commissariato” e provvisorio che certa storiografia ci ha restituito. Il ministro dei contadini che intuì la necessità di un piano di riforma agraria per aggredire quel blocco latifondista che in Calabria non era affatto meno morbido che in Sicilia (anzi, più silente, meno conosciuto, non meno predatorio se del caso).

E la curatela del Greco, con le note in presentazione del volume, e poi con tanti stralci riprodotti, ci dimostra come negli anni Sessanta e Settanta il “compagno” Gullo non fosse il “grande vecchio”, ritiratosi a ragionare dei bei tempi andati. Interloquiva con la contestazione del Sessantotto e apprezzava la radice autenticamente trasformativa della cultura operaia. Negli anni in cui Mario Tronti scriveva “Operai e Capitale” e i ragazzi trapiantati al Nord, in sobborghi a prova di fordismo, sognavano di afferrare il fulmine a mani nude, Gullo non teorizzava affatto quel legalismo identitario e repressivo con cui ampi spalti del Partito Comunista Italiano, meno di un decennio dopo, pretesero di regolare i rapporti con l’autonomia. Era osservatore partecipe (non agiografico, non monotono) della società che cambiava, e che nel cambiamento voleva tornare a coltivare le genuine istanze di liberazione che erano emerse al tempo della Resistenza.

Ne vorremmo di più raccolte del genere. Che restituiscano voce a quelle persone e a quelle idealità che coltivavano la passione nell’impegno e l’impegno nella passione. Quasi che l’amore (e non sappiamo se il raffinato metodo esegetico di Oscar Greco convaliderebbe questa conclusione affettiva), nella storia “antagonista”, “alternativa”, fautrice dei diritti, della Calabria e di Cosenza, fosse l’invisibile filo rosso della continuità tra generazioni unite nelle lotte sociali.

Domenico Bilotti

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