Io capisco la paura degli israeliani di trovarsi vicino a popolazioni ostili, ma la paura non può giustificare il seguente discorso di Netanyahu: “Se vinco io le elezioni uno Stato palestinese non vedrà la luce” (La Repubblica del 16 marzo 2015). E un esperto di questi problemi, l’amico Rosario Amico Roxas, mi scrive: “Perché meravigliarsi delle affermazioni di Netanyahu ? Si tratta di un progetto sionista antico che trova ogni occasione per aggiungere una tessera all’intero progetto. Un progetto dichiarato di cui esistono le prove, solo che nessuno osa ricordare e se qualcuno lo fa ecco che scatta l’accusa di antisemitismo, perché fa comodo ai sionisti di Israele assimilarsi al semitismo per assimilarsi al vittimismo per le persecuzioni naziste; ma quelle persecuzioni le subirono gli ebrei semiti, mentre i sionisti se ne stavano negli Usa a preparare la grande invasione della Palestina. Anche i Palestinesi sono semiti, per cui se di antisemitismo si vuole parlare, allora si tratta di una accusa da rivolgere agli estremisti sionisti che pensano solo alla eliminazione fisica dei Palestinesi”. E lui le prove le porta: “Il progetto di spartizione fu considerato come un compromesso provvisorio, utile fintantoché le condizioni non fossero mature per la realizzazione dell’obiettivo finale. Ben-Gurion, allora alla testa del movimento sionista, presentò ai suoi il progetto britannico di spartizione in questi termini: «Lo stato ebraico che oggi ci si offre non è l’obiettivo sionista. In questa ristretta regione non è possibile risolvere la questione ebraica. Ma può servire come fase decisiva sulla strada di una più sostanziale realizzazione sionista. Esso permetterà di consolidare in Palestina, nel più breve tempo possibile, quella reale forza ebraica che ci porterà al nostro obiettivo storico. (Ben-Gurion, citato in Norman G. Finkelstein, Image and Reality of the Israel-Palestine Conflict, Verso, Londra e New York, seconda edizione, 2003, p. 15)». Cose che dovrebbero far riflettere coloro che si schierano dalla parte dell’oppressore e non dell’oppresso.
Elisa Merlo