Omaggio a L’Aquila
di Mario Setta
Friedrich Nietzsche ha incarnato l’ideale del “viandante”. Non l’ha solo descritto nelle sue opere. L’ha realizzato nella vita. Per necessità e per vocazione. Ne parla espressamente nel suo capolavoro, Così parlò Zarathustra. Tutto il libro presenta la vita dell’uomo come una continua ascesa, metafora dell’esistenza. A trent’anni, Zarathustra-Nietzsche lascia la sua patria e s’incammina sui monti. Nuovo Abramo, nuova Rivelazione, nuovo Messia. Nella Terza Parte del libro, dichiara: «Io sono un viandante e uno scalatore di montagne […] Non amo le pianure e sembra che non sappia star fermo a lungo. […] Io sto ora di fronte alla mia ultima cima e di fronte a ciò che mi fu più a lungo risparmiato… il mio cammino più duro… la mia peregrinazione più solitaria.»
Il primo febbraio 1883, da Rapallo, Nietzsche scrive all’amico Heinrich Köselitz (Peter Gast), annunciandogli: «Si tratta di un libro piccolissimo – più o meno cento pagine di stampa. Ma è il migliore dei miei libri e per me significa essermi tolto un gran peso dal cuore. Non ho mai scritto nulla di più serio né di più allegro; mi auguro di cuore che questo colore – che non deve necessariamente essere una mescolanza – diventi sempre più il mio colore “naturale”. Il libro si chiamerà “Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno”. Con questo libro sono entrato in un nuovo “girone” – d’ora in poi in Germania verrò certamente annoverato tra i pazzi. Sono “prediche sulla morale” di un genere inconsueto.»
In quella primavera del 1883, il desiderio di ritirarsi in montagna, la ricerca di scomparire in qualche monastero isolato, diventa un refrain nelle lettere che Nietzsche scrive agli amici. Il 20 maggio a Overbeck: «Quanto all’uso che farò degli anni a venire, su questo non ho più incertezze. Una condizione esteriore è quella “fuga dal mondo” a cui ho accennato già tante volte per lettera: questo almeno è chiaro, e chi mi vuole bene riuscirà anche a spiegarselo. E’ una decisione che mi costa molta più fatica di quanto tu possa immaginare; la scelta poi della località adatta mi porta quasi alla disperazione.»
E il 28 maggio a Marie Buamgartner: «Io mi trovo ora in alto mare ed esigo il massimo da me e per me. A questo è legata una mia decisione, che da anni sono incerto se prendere o abbandonare, e per la quale finalmente – ora! – mi sento maturo e forte abbastanza: la decisione di “scomparire” per qualche anno.[…] Voglio vivere una vita dura come altri mai: sotto questo giogo e non altrimenti riuscirò a sentirmi con la coscienza a posto per il fatto di possedere quello che pochi uomini hanno o hanno avuto: ALI – per dirlo in metafora.»
E’ appena uscito, o forse sta ancora cercando di uscire dal trauma psicologico che lo ha afferrato un anno prima. S’era rifugiato nell’alcool, nella morfina, nell’oppio. Quella strana storia d’amore l’ha prostrato terribilmente. Fa enorme fatica psico-fisica a superare l’esperienza di innamoramento con Lou Salomé. Lui, ormai trentanove anni, e lei poco più che ventenne. Lou, figlia unica del generale russo di origine tedesca, Gustav von Salomé. L’incontro tra Nietzsche e Salomé era avvenuto, a Roma, nell’aprile del 1882, nella basilica di S. Pietro, presentatagli dall’amico Paul Rée, che ne era affascinato. Ma Lou aveva solo un modello ideale: suo padre. Già precedentemente aveva avuto esperienze affettive con maschi più anziani di lei, come nel caso del pastore Gillot. Lui quarantaduenne, lei diciassettenne.
Ma il rapporto con Nietzsche è drammatico. Dopo due settimane dall’incontro a Roma, i tre (la “santa trinità” o il “ménage à trois”), si ritrovano sul lago d’Orta, al santuario di San Francesco, detto Sacro Monte. Un santuario che presenta la vita di San Francesco come “Alter Christus” secondo le stazioni d’una Via Crucis. Qui, probabilmente, Lou bacia Nietzsche e quel bacio sembra essere la prova d’amore, tanto che Nietzsche le fa la proposta di matrimonio. Ma Lou rifiuta. Più tardi Nietzsche dirà che s’era trattato del “sogno più entusiasmante” della sua vita, mentre Lou confesserà di non ricordarlo. Non passerà, tuttavia, molto tempo che Lou sposerà lo studioso Friedrich Carl Andreas, quindici anni più anziano di lei.
E’ in questo periodo di crisi, di depressione, di frustrazione per un amore non corrisposto, di profondo disagio familiare con la madre e la sorella che accusano e osteggiano Lou Salomé, che Nietzsche elabora lo “Zarathustra”. Sarebbe estremamente semplicistico e riduttivo presentare il capolavoro di Nietzsche come frutto d’una delusione amorosa. Il malessere esistenziale di Nietzsche ha radici ben più profonde: tare ereditarie, educazione religiosa, ipersensibilità.
D’altronde i padri della psicanalisi, da Freud a Jung, troveranno notevole materiale di ricerca psicologica nella personalità e nell’opera di Nietzsche. La stessa Salomé sarà una fonte privilegiata.
Nell’autobiografia, “Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è”, che scriverà cinque anni dopo, Nietzsche ricorda che trovandosi a Roma in quella primavera del 1883, pensa di lasciare la città e di recarsi in Abruzzo, a L’Aquila. Scrive: «In fondo, questo luogo, il più indecente fra tutti sulla terra per il poeta di Zarathustra, luogo che non avevo scelto liberamente, mi infastidiva oltre misura; tentavo di evadere – volevo andare all’Aquila, l’antitesi di Roma, fondata in odio a Roma, come il luogo che un giorno io fonderò, in ricordo di un ateo e nemico della Chiesa “comme il faut”, uno degli esseri a me più affini, il grande imperatore Federico II di Svevia. Ma in tutto questo c’era un destino: dovetti tornare indietro.»
In una lettera (cartolina), indirizzata alla sorella Elisabeth che era rimasta a Roma, le scrive da Terni, con data “intorno al 10 giugno1883”: «E’ andata male! Lo scirocco ha inferto la sua spada fiammeggiante su L’Aquila! Quel posto non fa per me! Ho fatto ritorno qui a Terni con un male di testa violentissimo ecc. Pioggia torrenziale. Adesso sono a letto! Domani proseguo per la Svizzera.»
Lo scirocco, di cui spesso Nietzsche parla nella corrispondenza, non è tanto il vento, caldo e umido che viene dal Mediterraneo, quanto l’immagine di Salomé e dell’incubo che gli ha procurato. “Scirocco” è, quindi, “il nemico”. Nemico che si incarnava in Lou Salomé: «Definisco L (ou) il mio scirocco in carne ed ossa», scrive a Paul Rée, che era stato proprio lui a fargliela conoscere. Beatrice Commengé, scrittrice algerina, parla di “disastroso tentativo di soggiorno in Abruzzo”, soffermandosi a parlare dell’aquila, come uccello e come simbolo, “opposta al serpente, divinità ctonia, figlio di Gaia, amico della terra e della vita”.
L’aquila e il serpente sono le metafore per eccellenza di Nietzsche. Una coppia simbolica: l’aquila, l’essere che si libra nelle altezze; il serpente, l’essere che si aggrappa sulla terra. Una coppia di opposti. Ma amici, perché l’uno bisognoso dell’altro. Che cosa ha reso “disastrosa” la visita di Nietzsche a L’Aquila? Non sappiamo. Nietzsche non ne parla. Forse il suo stato d’animo, la sua suscettibilità, la sua facile disposizione alla delusione nel confrontarsi con la realtà.
La sorella Elisabeth informerà la madre: «Il buon Fritz è ripartito in fretta alla ricerca di una villeggiatura estiva, o meglio, per andare a vedere una cittadina che ha in mente già da parecchio tempo, dove vorrebbe fermarsi per un certo periodo. Temo soltanto che si tratti di un altro viaggio inutile. Io devo rimanere qui ad attendere notizie, per poi mandargli la sua roba. Può anche darsi che torni indietro. Se solo riuscisse a trovare qualcosa di buono! Ogni volta che gli va male si abbatte talmente, perché l’anno scorso gli è andato male tutto.»
Dalle parole di Elisabeth si intuisce che Nietzsche pensava da tempo all’Aquila, all’Abruzzo. D’altronde organizzava minuziosamente i suoi viaggi. L’Abruzzo, rappresentato sempre come luogo di solitudine, di eremitaggio, di confronto-scontro con le forze della natura, non poteva non affascinarlo. Il 1 luglio 1883 scrive a Köselitz da Sils Maria in Svizzera: «Ho passato un periodo di grande insicurezza e indecisione […]. In seguito alcune cose non sono andate per il loro verso: per esempio il tentativo di trovarmi in Italia un luogo adatto per trascorrervi l’estate. Ho provato una volta sui monti Volsci e un’altra negli Abruzzi (a L’Aquila).»
Nietzsche, poeta e filosofo, va alla ricerca della purezza, dell’ascesi, della “noluntas”, come aveva scritto in una delle considerazioni inattuali, “Schopenhauer come educatore”: «Vi è un modo di negare e di distruggere che è proprio l’emanazione di quel possente anelito alla santificazione e alla salvazione che Schopenhauer per primo con la sua filosofia ha insegnato a noi uomini dissacrati e secolarizzati.» E, citando Meister Eckhart: “L’animale più veloce che vi porta alla perfezione è il dolore”. Un dolore da affrontare, senza soccombere.
Tutto il pensiero nietscheano è ambiguo: afferma e nega, abbatte ed esalta, ravviva ed uccide. Ha cercato di ascendere le vette del pensiero umano, tentando la sintesi tra intuizione e ragione, poesia e filosofia, altezze e profondità. È per questo che Nietzsche resta l’enigma per eccellenza. “Sei una stella? Allora devi anche peregrinare ed essere senza patria” annota in uno dei frammenti del maggio-giugno 1883. Ma l’uomo non sarà mai un’aquila, né una stella: potrà solo cercare di imitarle.
Alcuni anni dopo, il 23 febbraio 1887, mercoledì delle Ceneri, Nietzsche si trova a Nizza, quando, di notte, avviene un catastrofico terremoto, che provoca migliaia di morti. Crolla anche la sua camera, ma resta illeso. Ne scrive ad amici e parenti: «Questa notte, verso le 2 o le 3, gagliardo come sono, ho fatto un giro di ispezione nelle varie parti della città per vedere dove la paura era al massimo… Ho trovato tutti i miei amici e amiche che a ogni piccola scossa pensavano cupamente alla fine… Io ero l’unica persona serena tra larve strepitanti e petti ansimanti… A Nizza, comunque, l’epicentro del sisma non è stato sotto la terra ma nei sistemi nervosi.» Lui, dopo aver girovagato per la città, tornò in camera per addormentarsi tranquillamente.