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PASCALE (PSI): A FAVORE DELL’INTERVENTO MILITARE IN LIBIA

Suo malgrado l'Italia è costretta ad uscire dal suo letargo riguardo
la politica estera. Lo fa dopo un sonoro schiaffone dato alla
Mogherini, voluta da Matteo Renzi come massima responsabile della
politica estera europea, ma scavalcata senza tante remore dal duo
Merkel – Hollande. I presidenti tedesco e francese hanno avviato una
trattativa direttamente con Putin per raggiungere una quadratura,
debole, imperfetta e traballante, sulla questione ucraina.

L'Europa ha manifestato la sua inconsistenza politica, rendendo per
l'ennesima volta evidente chi è che comanda. Non Strasburgo, ma
Berlino e Parigi.
Il messaggio, Renzi, lo ha capito benissimo ed in tandem con il
ministro degli esteri Gentiloni, ha già dichiarato, nel quadro del
diritto internazionale, quindi sotto l'egida dell'ONU, che il nostro
paese (non l'Europa) dovrà essere presente in eventuali operazioni di
interposizione in Libia, ad arginamento dell'avanzata dell'ISIS.
L'Italia avoca a se anche la conduzione della missione.

La presenza dell'ISIS a poca distanza dalle nostre coste è
preoccupante. Preoccupa anzitutto il fatto che l'instabilità delle
coste libiche o, peggio ancora, i porti in mano ai fondamentalisti
islamici, possano far aumentare a dismisura il numero di quelli che,
fuggendo dalla guerra, tentino di sbarcare con ogni mezzo disponibile
in Sicilia.
Dobbiamo prepararci ad una nuova emergenza umanitaria e non ne abbiamo
gli strumenti. Il solo pattugliamento garantito dalla missione Triton
è risibile. I morti in mare dei giorni scorsi ne sono la prova.
Preoccupa anche il fatto che, tra i tanti in assoluta buona fede che
rischiano la vita nel Mediterraneo pur di arrivare in Italia, ci
possano essere copiose infiltrazioni di Jihadisti.

Rendere stabile la costa libica è una priorità. Mi trovo quindi a
favore di un intervento italiano nell'area, chiaramente sotto l'egida
dell'ONU.

Ma se noi giustamente invochiamo la legalità per la politica
internazionale, non possiamo negarla nella politica interna. Mi sento
di censurare sia il presidente del consiglio, sia i ministri della
difesa e degli esteri, per aver sostituito a quella che avrebbe dovuto
essere una proposta politica, una specie di plebiscito mediatico.
Forse Renzi ha visto troppi film dell'era Reagan, dove il presidente
degli Stati Uniti, all'interno della finzione cinematografica, fa un
po' come gli pare. Ma anche Obama, quando il passo è importante, deve
presentarsi davanti al Senato, chiedendo i pieni poteri militari.
Che Renzi, dunque, senza indugio alcuno, si presenti in parlamento ed
esponga le sue ragioni. Non vorrei che l'emergenza internazionale,
aggiungendosi all'emergenza economica, a quella delle riforme etc.,
apra la strada ad una ancora più marcata compressione dei diritti ed
ad uno svilimento delle prerogative del Parlamento.

Su di una cosa dobbiamo essere chiari, però. La politica renziana del
“faccio come mi pare”, particolarmente evidente nella vicenda della
legge elettorale, non è replicabile in politica internazionale. Non
possiamo pretendere che un intervento ONU in Libia si compia senza
l'assenso della Russia. Non possiamo pretendere di mantenere un
atteggiamento schiacciato sulle posizioni della Nato in Ucraina e poi
chiedere a Putin di “darci una mano” sulla questione del Nord Africa.
Non avrebbe senso. Dato che, come la Mekel ed Hollande hanno fatto
capire per bene, in politica estera, in Europa, ognuno fa per se,
l'Italia deve ritagliarsi una sua indipendenza anche sulla questione
Ucraina, una indipendenza basata sul dialogo e la composizione degli
interessi di tutti. Non solo di quelli della Nato.

Ma un intervento militare in Libia è possibile, al di là delle risorse
finanziare, degli uomini e dei mezzi, solo ed esclusivamente se una
comunità nazionale esiste ed è coesa. I nemici di questa coesione sono
due: da un lato il “faccio come mi pare”, che tratta noi tutti non
come cittadini, ma come ectoplasmi privi di diritti e di volontà.
Dall'altro l'eterna teorizzazione della pace, dal vago sapore
clericale, che attanaglia gran parte della sinistra. Noi tutti
vogliamo la pace. Noi tutti vogliamo vivere in pace con chi, dal punto
di vista religioso, ha una sua visione dell'aldilà. Diventa difficile
quando vengono colpiti i simboli della nostra civiltà: Parigi, patria
della rivoluzione francese, e Copenhaghen, uno dei simboli della
socialdemocrazia scandinava.
Diventa difficile farlo quando la gente viene decapitata o arsa viva
in nome di un essere immaginario.

Quello che la società italiana e che anche la sinistra devono fare, in
questo momento, è uno sforzo di laicità. Guardare all'ISIS non come
scontro di religioni o di civiltà, ma come un'attentato ai valori
della libertà, della tolleranza, della fratellanza tra le genti del
nostro mondo.
La lotta contro l'ISIS è una battaglia per la civiltà.

Mario Michele Pascale, Consiglio Nazionale del PSI

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