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PRECISAZIONI ESTRINSECHE ED INTRINSECHE SUL CONTENUTO DEL DIRITTO DI SCIOPERO

Dietro l’idea che lo sciopero sia nemico della produzione, nonché simbolo di un modo superato di affrontare le questioni sociali, si sta ingenerando una visione molto frammentaria e scorretta del diritto di sciopero, presso l’opinione pubblica. E mentre questo danno d’immagine si realizza, senza una specifica rispondenza ad aspetti concreti e riscontrabili, i fautori di una concezione così deludente e sterile dello sciopero corrono ai ripari dalla cattiva coscienza e si rivestono da riformatori democratici, spiegando che “lo sciopero è comunque un diritto costituzionalmente garantito”. Urge fare chiarezza, se si vuole evitare che, oltre all’evidente stagnazione economica, si faccia strada anche quel parlarsi addosso che è ostile alla ripresa economica e sociale. Innanzitutto, il diritto di sciopero si è certo prestato ad abusi applicativi, ma più spesso quando ha riguardato categorie circoscritte o quando si è posto in contesti locali come una specifica e rude forma di ostracismo (ed anche le due ipotesi ricordate non sono realmente fuori dal perimetro fisiologico e naturale dello sciopero). Lo sciopero generale, invece, è uno strumento rivendicativo dove è difficile vedere ipotesi abusive: è indetto non in riferimento a limitate dinamiche contrattuali; né viene reiterato capziosamente. Attesa la sua eccezionalità e la sua evidente peculiarità, tutto l’impegno che implica realizzarlo ne rende, in una visione molto pragmatica, difficile una riproposizione “a bandiera”, concepita cioè senza alcun altro pretesto che non la frapposizione di un ostacolo di tipo economico-produttivo. E anche se si volesse sottolineare il danno produttivo che viene dallo sciopero, ciò sarebbe perfettamente in linea coi contenuti e con gli scopi del diritto di sciopero: esso realizza evidentemente un disagio, perché nell’opporsi ad una pratica, ad una norma, ad un negoziato, fa plasticamente visualizzare alla/e controparte/i le conseguenze nefaste sul piano dell’utile economico. Mira, in sostanza, a rilevare che il proseguire con quella norma (ad esempio: un’indebita discriminazione giuridicamente sancita contro particolari categorie di lavoratori), con quella pratica (ad esempio: un’esibita indifferenza alla concertazione o, più semplicemente, al mero ascolto delle ragioni dei disoccupati, degli inoccupati, dei sottoccupati, ecc.) o con quel negoziato (ad esempio: un accordo programmatico sbilanciato a favore delle organizzazioni datoriali), vuol dire produrre un danno ben superiore a quello che ne risulterebbe dall’abbandonare le condotte contestate attraverso lo sciopero stesso. Quest’ultimo, insomma, si è storicamente posto come ausilio importante per l’espansione dei diritti, per la risoluzione attraverso scelte innovative e costruttive delle crisi economiche e per il contenimento del disagio collettivo (non quello occasionale, circostanziato, che invece lo sciopero, come ricordato, mira esattamente e tipicamente a realizzare). Ricordarselo gioverebbe soprattutto a chi ha a cuore di far ripartire il Paese.

Domenico Bilotti

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