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Il “visibile” Salvatores, altre storie natalizie per lo schermo e qualche libro di contorno

Autore del cyberpunk “Nirvana” del 1997, reduce dal trionfo di critica e di pubblico per “Italy in a day”, premiato a Capri con il 'Capri Master of Cinematic Art Award' che gli verrà consegnato il 30 dicembre al XIX Capri, Hollywood-The International Film Festival’, (mentre a 'Birdman' di Alejandro González Iñárritu con Michael Keaton grande favorito all'Oscar, andrà il 'Capri Visionary Movie Award' per l'opera più originale della stagione), il premio Oscar (per ‘Mediterraneo’)Gabriele Salvatores, ritorna alla fantascienza con “Il ragazzo invisibile” , fantasy con Alessandro Fabbri, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, che uscirà nelle nostre sale il 18 dicembre, distribuito da 01 Distribution, storia di Michele, un tredicenne introverso e timido, impopolare a scuola, innamorato della compagna di classe Stella, che sembra non accorgersi di lui, tranne la troppo premurosa madre Giovanna. La monotonia quotidiana, però, verrà sconvolta da un avvenimento straordinario: un giorno per una festa di Hallowen Michele prenderà un vestito e una volta dopo l'ennesima presa in giro dai suoi compagni accadrà una cosa sconvolgente e il giorno dopo Michele, guardandosi allo specchio, scoprirà di essere invisibile e dei poteri xche tale invisibilità concede.
Il film, costato 8 milioni, è il sesto in collaborazioone fra salvatores e Bentivoglio e le canzoni portanti della colonna sonora sono state scelte da una giuria composta dallo stesso Salvatores con Linus (direttore artistico di Radio Deejay), Federico De' Robertis (musicista e compositore), Guido Lazzarini (curatore programmi televisivi) e Marco Alboni (presidente e amministratore delegato di Warner Music Italia), attrraverso un concorso per musicisti senza etichetta.
Come scrive Sertena Concato, c’è tanta passione in questo progetto e tanta voglia di fare in un momento in cui la fantascienza sembra tornata di moda, con un regista capace di un racconto pulito e senza fronzoli, funzionale ad una storia in cui è patente la differenza tra i filmoni di supereroi americani e il nostro piccolo Michele, con una impronta europea che diviene, grazie ad un eccellente team degli effetti speciali, che diviene valore aggiunto.
È insomma difficile immaginare che un film tanto diverso da Avengers, Iron Man, Il Cavaliere Oscuro o anche Lucy, con un soggetto (scritto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo) che è impeccabile (ci sono le origini degli eroi, ci sono molti poteri, dei rapporti genitore/figlio che funzionano, c’è una società segreta e la minaccia che costringe il protagonista a fare l’eroe benchè ne sia riluttante), ma che Salvatores rende sublime decidendo di svilupparlo guardando, contrariamente a quanto aveva fatto in “Io non ho paura”, “Come Dio Comanda” e “L’educazioone Siberiana”g uardando i suoi bambini dall’alto verso il basso con la tenerezza del genitore invece che con il fomento del coetaneo.
I poteri non sono mai fonte di esaltazione per le possibilità che offrono e la svolta che danno alla vita del piccolo Michele, ma più una maniera per svelarne le insicurezze, con la certezza che esse siano solo parte di una fase transitoria. Nemmeno i suoi coetanei quando lo scoprono si esaltano. Cosa ancor più lontana dal cinema americano, i poteri sono fonte di pochissima azione o avventura ma più di esplorazione interiore. Se nel finale qualche sequenza avventurosa mostra i confini dell’essere invisibile e ciò che consente di straordinario, in realtà per la gran parte del film viene ripetuta a gran voce la metafora del non essere visti in un’età in cui si vorrebbe scomparire.
Molto diverso “I vichinghi”, film con l’innegabile fascino delle ambientazioni scozzesi e con un incedere visivo che intrattiene piacevolmente, anche se appesantito da una stucchevole retorica mitologico-religiosa e da personaggi patinati in cerca di una terza dimensione drammaturgica alla quale si preferirebbe una bidimensionalità più consona al genere.
Da una parte un manipolo di vichinghi dissidenti, ribellatisi alla crudeltà del nuovo sovrano e ritrovatisi nel Regno di Scozia in seguito a un naufragio. Dall’altra gli scozzesi, uomini senza scrupoli il cui obiettivo è sterminare i vichinghi prima che questi raggiungano l’accampamento di Danelaw. Eroi e crudeli avversari, con al centro della contesa la (nemmeno troppo) bella figlia del re di Scozia – consueto personaggio dalla tanto ambita quanto goffa mascolinità – che i vichinghi tengono in ostaggio, ma che il padre vorrebbe vedere morta per scoraggiare altri ricatti. Senza dimenticare un monaco guerriero, inserito nell’intreccio per accontentare proprio tutti.
Da vedere “Jimmy’s Hall”, di Ken Loach, con Barry Ward, Simone Kirby e Andrew Scott, con l'attivista politico Jimmy Gralton che viene deportato dall'Irlanda nel 1930 quando il Red Scare viene combattuto duramente dall'Inghilterra perché visto come una minaccia alla stabilità del Paese.
Quando fu presentato a Cannes 2014 , fu definito da molti “il film perfetto” di Ken Loach ed in effetti comntiene i temi cari al regista e al suo sceneggiatore Paul Laverty: la politica, la denuncia dell’ingiustizia sociale, un’umanità umile ma generosa, solidale, raccontata con affettuosa leggerezza, complice la musica, il ballo e lo spunto di una storia romantica.
Lo scorso 3 dicembre Ken Loach partecipando a un dibattito pubblico ha detto: “si è parlato molto, troppo del film, ma soprattutto di politica, di Europa, del lavoro. Da quello che so, Renzi è come Tony Blair, che, una volta al potere, ha cercato l’appoggio degli industriali e dei potenti dell’economia per governare senza problemi, mentre cominciava a cancellare gradualmente i diritti dei lavoratori. La stessa politica di Renzi, tutt’altro che di sinistra. In più, Blair dovrebbe essere processato all’Aja per la guerra in Iraq. L’Europa? Credo nei suoi valori, ma dovrebbe essere rifondondata”.
Il 23, l’antivigilia, esce nelle sale “Cenerentola”, favola musicata da Gioachino Rossini, nella versione cinematografica presentata da Andrea Andermann e diretta da Carlo Verdone., dove una dolce fanciulla maltrattata dalle arcigne sorellastre, rapisce il cuore del principe azzurro che dopo il ballo perde le sue tracce. L’innamorato non troverà pace sino a quando non incrocerà nuovamente lo sguardo dell’amata. Il progetto cinematograficorecupera la magia del racconto di Perrault grazie alle animazioni di Annalisa Corsi e Maurizio Forestieri, ma anche la scena del ballo per la quale viene utilizzata la musica del balletto dell’Armida dello stesso Rossini, con , a dirigere l’Orchestra Sinfonica della Rai, il Maestro Gianluigi Gelmetti.
Per gli appassionati di “cartoons”m, “Un gatto a Parigi”, di Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli (sceneggiatori e registi), con protagonista il gatto Dino che ha una doppia vita: di giorno vive con la piccola Zoé, figlia unica di Jeanne, capitano di polizia e di notte sale sui tetti di Parigi con Nico, un ladro abile e di buon cuore. Zoé ha smesso di parlare da quando suo padre, poliziotto come la moglie Jeanne, è stato ucciso da un noto criminale, Victor Costa. Jeanne è totalmente votata al lavoro e non dedica molto tempo alla figlia: è impegnata a organizzare la sorveglianza del Colosso di Nairobi, una preziosa statua presa di mira da Victor Costa. Dino, di ritorno dai suoi giri notturni, porta spesso a Zoé dei doni: un giorno le porta un braccialetto che l’assistente di Jeanne, Lucas, riconosce come parte del bottino di una rapina. Qualche sera dopo, Zoé decide di seguire di nascosto il suo gatto. Incappa così nella gang di Victor Costa, e scopre che Claudine, la sua fidata baby-sitter, fa parte della banda.
Per la famiglia: “St Vincent”, con Bill Murray, il surrealista che arriva dal Saturday Night Live sotto lo spettro di John Belushi e si fa “smerdare” da un “aborto di tubero” in “Ghostbusters – Acchiappafantasmi” di Ivan Reitman; che nell'episodio di “Coffee and Cigarettes” di Jim Jarmusch (Delirium) oscilla con tocco geniale tra comicità e Lovecraft, il neurologo de “I Tenenbaum” del nichilista Wes Anderson; che qui è alla ricerca un figlio “vero” o presunto tra mille tic e donne amate, dovendo il simpatico e stravante Vincent , mentore ed amico di Oliver, figlio sbandato e melanconico di una coppia divorziata.
Per concludere questa carrellata natalizia, “L’amore bugiardo” di David Fincher (l’autore di “Millenium”, “Zodiac” e “Panic room”), con Ben Affleck e Rosamund Pike, dove si racconta di un uomo che decide di tornare nella sua città natale per aprire un bar e, poco dopo, vede la m,oglie scomparire misteriosamente, proprio nel giorno del quinto anniversario del loro matrimonio e diventa il sospettato principale della sua sparizione. Il trailer su: http://trovacinema.repubblica.it/multimedia/copertina/lamore-bugiardo-gone-girl-trailer-ita/33200353.
Per i libri scoppia la food-mania, con sugli scaffali decine di titoli dedicati alla gastronomia e l’immancabile strenna di Bruno Vespa, universalmente riconosciuto, quasi alla pari di D'Annunzio, Tolkien, Dostoevskij, autore di bestsellers natalizi, oggetto di innumerevoli regali.
L’ultimo titolo “Voltagabana”, su un costume tipico ed esecrabile degli italiani, con diversi intellettuali che si dichiararono antifascisti alla caduta del regime di Benito Mussolini, ma che prima stavano dalla parte del Duce e tra loro nomi altisonanti, come Giuseppe Ungaretti o Dario Fo, o altri comunque ben noti, come Indro Montanelli o Enzo Biagi.
Forse il tentativo di dare lustro a chi come lui è sempre dalla parte giusta e del potere, che ora dedica le pagine più pregnanti e significative al vincitore momentaneo Matteo Renzi, che vuole cambiare il Paese in dieci ani e poi, come Cincinnato, andarsene e ritirarsi a vita privata.
Ma, per fortuna, stavolta il nostro Vespa nazionale, ha un sussulto di vera critica girnalistica e parla, nel libro, di risultati al di là degli annunci, di casa svalutata , di previdenza sociale minacciata dalle misure del governo, di aumento delle tasse sui fondi integrativi e Tfr in busta paga.
E parla anche di degrado metroplitano diffuso, di stupri, rapine e aggressioni in pieno giorno, di spaccio e occupazioni abusive degli alloggi.
A Natale meglio comunque regalare (o regalarsi) “Donne” del sempre solido Andrea Camilleri, un catalogo parziale di figure femminili: alcune realmente esistite o inventate dalla letteratura; altre conosciute personalmente; a metà strada tra creatività e memoria biografica, con, sullo sfondo, dei racconti l’Italia dal fascismo ai nostri giorni.
Oppure il più impegnativo “Trilogia della Celtica”, dove il giornalista Nicola Rao analizza la storia del neofascismo italiano, cui ha dedicato tre longseller (La fiamma e la celtica, Il sangue e la celtica, Il piombo e la celtica), e raccoglie testimonianze e documenti spesso inediti, passando dal dopoguerra, alle stragi nere fino ai Nar di Fioravanti.
E tanto per rimanere in un passato che si è rifatto attuale: “I 100 delitti di Roma” di Flaminia Savelli, storia della capitale raccontata, appunto, in 100 delitti, dalle origini ai giorni nostri, attraverso un torbido percorso di crimini efferati e gialli irrisolti che hanno reso Roma una delle città più misteriose d’Italia, analizzata in maniera accurata attraverso i casi più noti (la sparizione di Emanuela Orlandi, il delitto di via Poma, la morte di Marta Russo…) ma anche gli episodi meno celebri della cronaca contemporanea.
Di tutt’altro genere “Avrò cura dui te”,libro scritto a quattro mani da Massimo gramellini e Chiara Gamberale, che recita la parte di una donna spaventata dalla vita, abbandonata da un uomo e con problemi familiari che trova un biglietto scritto dalla nonna a un angelo custode e decide di seguire il suo esempio, con dalla penna di Massimo Gramellini da cui arrivano parole da angelo custode.
Per gli anziani, come me, “La fantastica storia dell’ottantunenne investito dal camioncino del latte” di J. B. Morrison, copn protagonista Frank Derrick, un ottantenne con parecchi guai alle articolazioni e un gatto con cui vive barricato nella casetta a Fullwind-on-Sea, classico paesello british e la cui vita tranquilla sarà sconvolta dall’assistenza a domicilio. Una lettura disimpegnata e divertente, per uno dei migliori romanzi dell’anno.
Puntuale come Vespa ma certamente migliore, Ken Follet, con “ I giorni dell’eternità”, ambientato durante la Guerra Fredda, e dove si esaminano con sapienza narrativa e da varie prospettive, gli eventi storici centrali del XX secolo.
Ultimo capitolo della nota e complessa trilogia “The Century”, in 1224 pagine conferma che Follet è uno dei più grandi autori del nostro tempo.
Sin dalle prime pagine il ritmo è incalzante e scorrevole, con il romanzo che riparte senza sbavature a pochi anni di distanza dal punto in cui si è interrotto con la ormai ventinovenne Rebecca, insegnante di lingua Russa in un istituto scolastico, convolata a nozze con Hans, un uomo che credeva essere un funzionario del Ministero di Giustizia tedesco. L’impostazione è la medesima: le 5 famiglie che conosciamo sin da “L’a Caduta dei Giganti” ci accompagnano anche in questa avventura ma diverso è lo scenario poiché sono abbandonati i temi delle Grandi Guerre presenti rispettivamente nel primo e secondo capitolo dell’opera e sono abbracciate le tematiche della Guerra Fredda, dei diritti dei neri, la caduta del muro di Berlino, la guerra del Vietnam, la dipartita del regime comunista fino ad arrivare ai giorni nostri.
Un romanzo in cui, come capita in quelòli veri e grandi, tutti possono rispecchiarsi; dai più giovani che hanno il vago ricordo di quel che è stato “Il Muro”, ai più grandi che non possono dimenticare gli anni delle censure musicali e letterali ma nemmeno dei conflitti che si sono spostati sul versante asiatico o ancora del Primo uomo sulla Luna.
Con il valore aggiunto della penna di Follet, con unlinguaggio che si depaupera delle formalità tipiche dei primi del Novecento e degli anni ’40 e giunge essere più vicino alle epoche in cui è ambientato, mutando magicamente in relazione allo scorrere del tempo.

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