Un'altra smentita del presunto 'referendum' ed una conferma delle 'prodezze' da Corte Marziale del duo Apollonio – Pampaloni-
di Massimo Filippini
Nel 2001 Il signor Alfredo REPPUCCI, residente a Napoli, ci scrisse il messaggio che segue :
“Sono Reppucci Alfredo reduce superstite della divisione ACQUI – Cefalonia – reggimento artiglieria – II reparto munizioni e viveri – concordo con vs. versione dei fatti da lei narrata, ero il portaordini del comando divisione, conoscevo personalmente il generale Gandin. sarei lieto di scambiare informazioni sui fatti accaduti in specie su famigerato referendum (al riguardo posso assicurare che non fui mai consultato). ho assistito in prima persona all'apertura del fuoco di batteria che provocò l'affondamento di due battelli tedeschi causa scatenante di quell'inferno.
per qualsiasi contatto di seguito il mio indirizzo: (…) 80129 NAPOLI
Distinti Saluti
Reppucci Alfredo”
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Purtroppo l'amico Reppucci pochi anni orsono è venuto meno e noi intendiamo ricordarlo riportando l'intervista che ci rilasciò durante un incontro avuto a maggio 2001 con lui a Napoli dove ci recammo dopo averne concordato la data.
Eccone il testo:
D. Signor Reppucci Lei ha detto che nel settembre 1943 era a Cefalonia in qualità di militare.
Può fornirci qualche particolare in merito?
R. A settembre 1943 avevo appena 19 anni –essendomi arruolato come volontario- ed ero il più giovane soldato della “Acqui”. Ero assegnato al II° Reparto munizioni e viveri e, successivamente, durante i giorni della lotta contro i tedeschi, fui impiegato anche come portaordini.
D. Ella ha parlato della iniziativa presa, il 13 settembre, dalle tre Batterie del 33° Artiglieria di aprire il fuoco contro due natanti tedeschi e ha detto di essere stato presente ad essa.
Dove si trovava quando avvenne il fatto e, in particolare le risulta, per averlo sentito o per altre vie, che ai comandanti delle Batterie l’ordine di aprire il fuoco sia stato impartito da qualche superiore?
R. In quei drammatici momenti mi trovavo a fianco del ten. Apollonio la cui batteria, la 3^, era a pochi metri dalla tenda sotto la quale io dormivo come gli altri soldati del mio reparto.
Ricordo bene che il giorno prima il ten.col.Fioretti capo di stato maggiore del Comando di Divisione, al termine di una riunione presso il Comando stesso cui parteciparono Apollonio, Pampaloni ed altri ufficiali di cui non ricordo i nomi, raccomandò loro di “non prendere iniziative senza ordini del comando”, cioè del gen.Gandin, perché erano in corso trattative con i tedeschi.
D. L’apertura del fuoco avvenne, allora, dietro ordini superiori oppure fu un’iniziativa presa dai predetti ufficiali? Cosa può dirci in merito lei che ne fu testimone?
R. All’alba del giorno 13, il tenente Apollonio vide due piccoli battelli tedeschi che si avvicinavano a riva e telefonò subito al capitano Pampaloni dicendogli di aprire anche lui il fuoco contro di loro.
Ho visto e sentito tutto perché mi trovavo a fianco del cannone di Apollonio ed ho perfettamente udito quanto il tenente Apollonio disse, servendosi del telefono da campo, a Pampaloni: ho ancora nelle orecchie la frase – “gira il cannone e fai fuoco”- che il primo urlò all’altro. Confermo pertanto che essi scatenarono quell’inferno di loro iniziativa e che furono costretti a sospenderlo solo perché dal comando di divisione e da quello di artiglieria arrivarono ordini di cessare il fuoco, ai quali dopo un concitato tira e molla alla fine obbedirono.
D. In un processo svoltosi dopo la guerra contro di loro, Apollonio sostenne che tale iniziativa fu presa perché i due natanti tedeschi erano carichi di cannoni, mitragliatrici ed altre armi, ben “visibili” da terra e, secondo loro, destinate a rafforzare il piccolo distaccamento tedesco di circa 500 uomini di stanza ad Argostoli. Di conseguenza la loro azione avrebbe avuto lo scopo di salvaguardare il Comando italiano –che si trovava nelle vicinanze- da un presumibile attacco tedesco e quindi l’apertura del fuoco sarebbe stata attuata senza attendere ordini proprio per proteggere lo stesso da un eventuale attacco tedesco.
Cosa può dirci in merito e soprattutto sul contenuto delle due motozattere, a detta di costoro, “stracariche” di armi?
R. E’ assolutamente falso che le due motozattere contenessero armi: si trattava di due battelli somiglianti a piccoli pescherecci, sui quali vidi –con i miei occhi- soltanto alcuni soldati, un paio di muli e delle masserizie destinate al distaccamento di Argostoli, ma di armi pesanti non v’era proprio traccia.
Se Apollonio ha detto che erano carichi di armi ha mentito per salvarsi dalle accuse e mi dispiace di non essere stato chiamato a testimoniare in quel processo di cui non si è fatto sapere niente a nessuno, forse per paura che venisse fuori la verità.
Ricordo un altro particolare su quei terribili momenti e cioè che le due motozattere, quando furono prese a cannonate –a tradimento- spararono in aria dei razzi colorati per farsi riconoscere, non pensando evidentemente che mentre erano in corso le trattative ed il loro comandante, ten.col. Barge era a colloquio col generale Gandin, gli italiani si sarebbero messi a sparare contro di loro.
Al fuoco dell’artiglieria si unì poi anche quello delle batterie di Marina che era comandata dal capitano di fregata Mastrangelo il quale era d’accordo con Apollonio e Pampaloni per andare contro i tedeschi. Una motozattera affondò mentre l’altra riuscì a salvarsi, anche se fu gravemente danneggiata, e i morti dei tedeschi furono, a quanto si disse dopo, otto.
D. Ha particolari ricordi di episodi cui fu testimone?
R. Ricordo in particolare l’attivismo sfrenato di Apollonio che sembrava un “diavolo” assetato di combattere senza attendere ordini da nessuno: nello stesso pomeriggio del 13 egli riposizionò i pezzi di artiglieria e mitragliò anche un idrovolante proveniente dal continente con a bordo un Ufficiale tedesco inviato dal Comando tedesco in Grecia per proseguire le trattative. L’aereo si salvò dal mitragliamento ammarando nello specchio di mare antistante la penisola di Lixuri, non potendo farlo ad Argostoli, a causa dei colpi sparatigli contro.
D. Il generale Gandin dall’8 al 14 settembre fu sottoposto ad una serie di oltraggi ed attentati anche alla sua vita, come il lancio di una bomba a mano ad opera di un carabiniere; in tale occasione alcuni militari gli strapparono le insegne di comando dall’auto urlandogli che non era degno di portarle. Le risulta tutto ciò ?
R. Pur non essendo presente al momento dei fatti so che essi avvennero soprattutto perché alcuni militari di idee comuniste additarono Gandin come “amico di Mussolini” e, d’accordo con i greci, lo calunniarono spargendo la voce che volesse arrendersi perché era un “traditore” ed un “venduto” ai tedeschi.
D. Non si fa che parlare, negli ultimi tempi, di un referendum con il quale i soldati della Divisione avrebbero all’unanimità deciso di combattere contro i tedeschi. Lei partecipò ad esso e cosa può dirci in merito?
R. Non ho partecipato a quello che viene chiamato referendum per il semplice motivo che non ci fu. Il gen.Gandin cercò di sapere quello che pensavano i soldati su un eventuale scontro con i tedeschi, ma furono ben pochi coloro i quali ebbero modo di esprimersi e più che altro si trattò di un imbroglio manovrato da pochi caporioni. Se non sono stato interpellato io che mi trovavo a pochi metri dal comando figuriamoci se risponde al vero che a “tutti” i soldati della Acqui specie a quelli più lontani sia stato richiesto il loro parere.
D. E’ accertato che i Greci concorsero a creare tale clima di disordine, all’interno della divisione “Acqui”, spargendo false notizie e cercando di creare zizzania con i tedeschi, nell’intento di approfittare di uno scontro tra noi e quest’ultimi. Alcuni ufficiali di artiglieria, di quelli “rivoltosi”, si dice che abbiano rifornito i greci di armi.
Cosa può dirci in proposito? Ricorda qualche episodio di cui fu testimone ?
R. So per certo che il capitano Pampaloni, che ad Argostoli era in contatto con i capi partigiani greci, fece caricare dei mezzi con armi e munizioni che vennero distribuite ai militanti dell’ELAS che erano accesi comunisti, nei giorni immediatamente seguenti a quello dell’armistizio.
Lo sento spesso raccontare, come ospite di varie trasmissioni televisive, la storia del proiettile sparatogli da un capitano tedesco che, per sua fortuna, non lo uccise.
Perché non racconta anche che consegnò armi ai partigiani greci che erano nostri nemici e che “tagliavano” la gola ai nostri soldati quando cadevano nelle loro mani?
CON QUESTO SIGNORE VORREI AVERE UN CONFRONTO PUBBLICO IN TELEVISIONE AVENDO MOLTE COSE DA DIRE DI CUI EGLI NON HA MAI FATTO MENZIONE.
ANCHE IO SONO UN SUPERSTITE MA, A DIFFERENZA SUA, NON SONO MAI STATO INVITATO A PARTECIPARE A NESSUNA TRASMISSIONE E CIO’ NON E’ASSOLUTAMENTE GIUSTO A MENO DI NON VOLER DIVIDERE I REDUCI DI CEFALONIA IN “FIGLI” E “FIGLIASTRI” COME SI E’ FATTO FINORA.
D. Come si concluse la Sua avventura a Cefalonia signor Reppucci ?
R. Dopo essere sfuggito miracolosamente ai bombardamenti degli stukas ai quali, come portaordini, fui esposto forse più di altri, riuscii ad evitare la rappresaglia dei tedeschi vagabondando per le numerose macchie esistenti nell’isola e fingendomi greco,una volta che mi imbattei in essi, conoscendo fortunatamente la lingua locale.
Scampato ai tedeschi caddi in mano ai partigiani greci, armati con i nostri fucili, che insieme con altri militari sbandati intendevano trasferirmi sul continente, ma io –conoscendo bene il greco- capii dai loro discorsi che sul continente ci avrebbero “sgozzati” come loro abitudine e per mia fortuna, durante il trasferimento, riuscii a dileguarmi rifugiandomi presso una ragazza del luogo che mi ospitò fino a quando i tedeschi se ne andarono dall’isola.
Durante detto periodo, circa un anno, recitai la parte del greco e mi andò bene sia in altri incontri con i tedeschi durante la loro occupazione dell’isola, fino a ottobre ’44, che con i partigiani greci subentrati successivamente ad essi.
Al mio rientro in Italia, poi, venni rinchiuso in un campo di concentramento a Taranto, e successivamente, data la mia assenza di circa un anno dopo la strage, non essendo state ritenute valide le mie giustificazioni, venni addirittura (!) accusato di diserzione alla quale accusa dovetti porre rimedio arruolandomi nella Polizia e ottenendo, così, il foglio di congedo, dopo ben tre anni di servizio.
Se avessi fatto come Apollonio od altri che, come lui, collaborarono con i tedeschi, avrei probabilmente ricevuto delle ricompense e non avrei prolungato la mia ferma di altri tre anni.
Ma di ciò non mi lamento perchè, data la mia giovane età, riuscii a sopportare tutti gli imprevisti e, finalmente, tornare alla vita pur conservando il terribile ricordo di tanti miei poveri compagni che vidi morire per la follia di pochi esaltati.
Piuttosto a distanza di anni mi è stato conferito il diploma di partigiano all’estero come se io avessi combattuto insieme con quegli stessi partigiani che, se non fossi fuggito mi avrebbero fatto fuori; pertanto per dirla alla napoletana questo riconoscimento io “lo schifo” perché è falso e menzognero.
Ricordo ancora, sperando che siano vivi, i miei commilitoni Giuseppe Penna di Viterbo e Giuseppe Minelli delle Marche di cui ho perso le tracce dopo tanti anni, ma non il ricordo della nostra amicizia fraterna.
(dal sito www.cefalonia.it)
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Questo il testo dell’intervista rilasciataci dal signor Alfredo Reppucci alla quale non aggiungiamo alcun commento, limitandoci a constatare come in Italia la “memoria” storica sui fatti di Cefalonia, propagandata da decenni, in modo volutamente inesatto, abbia relegato in secondo piano la verità dei fatti mediante una vera e propria “congiura del silenzio” su di essi.
La colpa è un po’ di tutti, degli storici di sinistra che in virtù di una sorta di monopolio culturale loro concessa da uno Stato che si dice 'democratico' -MA NON LO E'- travisano i fatti per portare acqua al mulino della “loro” Resistenza e di quelli cosiddetti “revisionisti” o di destra che, per ignoranza dei fatti e/o per timore di andare “controcorrente” hanno taciuto colpevolmente sull'argomento lasciando padrona del campo la peggiore sinistra: quella di ispirazione marxista.
In entrambi i casi chi ne ha sofferto è la MEMORIA STORICA DEI FATTI DI CEFALONIA e ciò non fa onore all’Italia e agli italiani.
MASSIMO FILIPPINI