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L’Italia in un giorno ed altri eventi a Venezia

Di Carlo Di Stanislao

Volti ed umori attraverso filmati amatoriali tutti girati lo stesso giorno e poi selezionati e montati da professionisti. L’idea era venuta a Ridley e Tony Scott, nel 2011, con “Life an a day”, con filmati di tutto il mondo, tutti datati 10 giugno 2010.

Gabriele Salvatores, invece, ha raccolto filmati di italiani sull’Italia (ben 45.000, contro i 15.000 della operazione statunitense), per presentare, in anteprima al Festival di Venezia, “Italy an one day”, un film che incanta per il taglio e la poesia, che mostra una Nazione impoverita ma non piegata, ancora piena di entusiasmi e fantasia, ancora in grado di aprirsi al futuro, superando le angoscie del presente.

Come nel caso di quello dei due Scott, nel film di Salvatores (nelle sale il 23 settembre e sua Rai3 il 27 del mese), colpisce innanzitutto il mastodontico lavoro di montaggio, compiuto per assonanze o distanze e con la speranza a fare da filo conduttore.

Il progetto, come detto, è stato in parte frutto di gente comune chiamata a filmare un giorno della loro vita (per l’esattezza il 26 ottobre 2013), per fornire un ritratto dell’Italia di oggi, delle paure, delle speranze, ma anche delle abitudini.

La pellicola, che regala una variopinta umanità di personaggi e la loro voglia di comunicare, ha commosso in molti anche tra la stampa, perché racconta un’Italia che non si piange addosso o si dispera, un Paese certo ferito e che soffre, ma con dignità, con una grande paura per il futuuro, ma anche un gra voglia di cambiare.

Sempre ieri, a Venezia, grande soddisfazione per un altro documentario italiano e di montaggio: “La zuppa del demonio” di Davide Ferrario, che racconta la storia industriale italiana con materiali d’archivio provenienti dagli anni ’30 fino alla metà degli anni ’70.

Il titolo si rifà alla espressione usata da Dino Buzzati, grande appassionato di cinema, nel commento a un documentario industriale del 1964: “Il pianeta acciaio” e che, a cinqut’anni da quello, descrive l’ambigua natura dell’utopia del progresso che ha accompagnato tutto il secolo scorso, perfarci capire che mentre oggi è facile inorridire davanti alle immagini che mostrano le ruspe fare piazza pulita degli olivi centenari per costruire il tubificio di Taranto che oggi porta il brand dell’ILVA; per lungo tempo l’idea che la tecnica, il progresso, l’industrializzazione avrebbero reso il mondo migliore, ha accompagnato varie generazioni, poi smentite dai fatti.

Come scrive Gabriele Barcaro, il documentario ricorda molto da vicino l'espressionista Metropolis di Fritz Lang, cucendo con sapienza rapsodica un vario repertorio storico e sociale, descriito con le immagini dell’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa del Centro Sperimentale di Cinematografia, spezzoni di film ed interventi di autori del calibro di Goffredo Parise ed Italo Calvino.

Un gran bel film come lo sono stati tutti gli italiani a Venezia, i tre in concorso e i 18 fuori, con un elogio particolare a “Perez” di Edoardo De Angelis e “La Trattativa” di Sabina Guzzanti; il primo un noir con un Luca Zingaretti stanco e tormentato, nei panni del mediocre avvocato d'ufficio alle prese con una vicenda criminale più grande di lui ed il secondo sulle uccisioni di Falcone e Borsellino e sulla cosiddetta “trattativa” stato-mafia”.

La Guzzanti firma un’opera coraggiosa ma ancora più matura di “Draquila” ed avvalendosi anche di testimonianze documentali dei processi e dei collaboratori giustizia, ricostruisce con attori (lei stessa e ancora Enzo Lombardo, Ninni Bruschetta, Filippo Luna, Franz Cantalupo e Claudio Castrogiovanni), una vicenda lunga quattro anni ed ancora in corso, per cui sono stati rinviati a giudizio Mancino, Mannino, Dell’Utri, Cinà, Mari Subranni, De Donno ed i boss Riina, Provenzano e Bagarella.

Per non sembrare troppo sciovenisti e parlare anche degli stranieri, asegnato ieri il Leone alla carriera, alla grande Thelma Schoonmaker, tre volte premio Oscar per Toro scatenato”, “The Aviator” e “The Departed – Il bene e il male”, tutti diretti da Martin Scorsese.

E sempre ieri, in concorso, molto interessanti, lo svedese “En duva satt på en gren och funderade på tillvaron” (“A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence”) di Roy Andersson, mix di tre romanzi classici (Don Chisciotte di Cervantes, Uomini e topi di John Steinbeck e Delitto e castigo di Dostoevskij) considerato l’ultimo di una trilogia insieme ai precedenti del regista, e la storia di guerra “Nobi” (“Fires on the Plain”) di Shinya Tsukamoto, un vero e proprio assalto ai sensi dello spettatore, che si fa progressivamente sempre più violento col procedere della storia e il perdersi del protagonista in un labirinto di orrori fatto di giungle, fame, sangue, carne e morte.

Secondo Federico Gironi un film arrivato con 15-20 anni di ritardo rispetto all’orrore di oggi. Secondo me un perfetto disegno catartico sulla effaratezza del mondo e degli uomini.

Inagugurata lunedì 1 settembre, la Mostra Omaggio a Federico Fellini, allestita presso lo Spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo (Sala Tropicana 1) all’interno dell’Hotel Excelsior (Lido di Venezia), intitolata: Sotto casa di Federico” , con il patrocinio della Fondazione Ente dello Spettacolo, del Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, della maison Pierre Cardin e delle Editions Nomades, la mostra curata da Francesca Barbi Marinetti, ideata da Tina Vannini, composta da una serie di opere a inchiostro di china che Roberto Di Costanzo ha dedicato all’immaginario felliniano e ai suoi film più rappresentativi.

In Sala Web, poi, la 71° Mostra presenta “The Gold Rush”, il capolovoro di Chaplin restaurato dalla Cineteca di Bologna, con la indimenticabile sequenza dela danza dei panini, con Charlot che si mangia una scarpa che, doverosamente bollita, diventa un pollo gigante, in una pericolante capanna in bilico tra le montagne innevate, il tutto senza le accelerazioni improrie degli errorio tecnici del passato, con un restauro perfetto fa fa andare le immagini a velocità perfetta con, per la prima volta, le musiche originali scritte dallo stesso Chaplin, recuperate grazie al’ingeredibile lavoro filologico di Timothy Brock, compositore ec direttore d’ordvhestra che dal 2000 lavora ai testi musicali di Chaplin e che già, sempre per la Cineteca di Bologna, aveva recuperato “Tempi Moderni”, “La donna di Parigi” e “Luci della ribalta”.

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