Alla luce delle recenti dinamiche parlamentari che hanno impegnato il Senato sulla trattazione della riforma costituzionale in riferimento alla quale ho voluto, fin dalle prime battute, evidenziare una posizione chiara di responsabilità pur non abbandonando una battaglia sempre tesa alla salvaguardia della rappresentanza della circoscrizione estero nell’ambito del nuovo senato, ritengo doveroso condividere alcune riflessioni con i tanti che in queste ore stanno sollecitando da parte mia alcuni chiarimenti relativi alla mia posizione pro futuro verso il testo riformatore.
A nessuno sta sfuggendo il clima aspro e complesso, in termini politici, parlamentari e sociali, entro il quale è stata avviata la tanto attesa riforma costituzionale.
E a nessuno sfugge il fatto che dinanzi ad una fase tanto delicata la tendenza di un parlamentare, indipendentemente dalla sua connotazione politica, resta o quella di metterci la faccia o barricarsi dietro a strutture difensive con la scusa di “non essere d’accordo”.
Dinanzi alla stagione di riforme, infatti, non esistono vie di mezzo.
O si è dentro, partecipando, discutendo e proponendo, o si resta fuori come spettatori inerti di qualcosa che non si riesce a gestire.
Ho deciso fin dalle primissime battute di giocare un ruolo attivo in questa partita, appunto mettendoci la faccia.
Facendomi sentire nelle occasioni di confronto, proponendo emendamenti, per quanto impopolari e critici, che rispecchiassero comunque la mia posizione.
Mai negandomi dinanzi ad un confronto con il Ministro Boschi o con i referenti di partiti, siano essi di maggioranza o opposizione.
Proponendomi sempre e comunque come veicolo di analisi e mai come pungolo provocatorio.
Ed ho inteso fare questo mantenendo la posizione scomoda di membro della maggioranza, e mai mettendo in dubbio la mia responsabilità verso la stagione di riforme in cui ho deciso di credere senza esitazioni.
Perché ritengo che sia arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità, ed io ho deciso di farlo proprio schierandomi a fianco di chi proponeva le riforme e sottoscrivendo anche provvedimenti ispirati a modelli di riorganizzazione istituzionale di tipo europeo.
Mosso dalla consapevolezza di vivere in un paese fermo, dove l’immobilismo del mercato del lavoro e della crescita economica sono soltanto il dorso socio-economico di un limite profondo, che riguarda appunto il funzionamento delle aule parlamentari.
Se non si comprende questo aspetto, non si riesce a cogliere l’essenza stessa che sottende l’esigenza di una riforma in questo momento: con la conseguenza che diventa per tutti facile additare il Governo Renzi, arrivando addirittura ad elogiare chi ha deciso di uscire dalla maggioranza, senza aver mai fatto nulla per fare qualcosa di buono in essa.
Questo è un punto importante su cui invito alla riflessione.
Dove sta la responsabilità? In chi decide di fare un passo indietro rispetto agli impegni originari perché incapace di portare avanti una battaglia complessa e impegnativa o chi mantenendo fede ai propri impegni, decide comunque di non mollare la presa rispetto ai propositi originari?
Io mi sono collocato nella seconda categoria.
Ho preferito fare un ragionamento, poco retorico ma molto tecnico, per testimoniare l’assoluta legittimità del mantenimento di una rappresentanza della circoscrizione estero nell’ambito della riscrittura del nuovo senato.
Ho inteso anche proporre, in fase di dibattimento, l’ipotesi che questo parterre di rappresentanti venisse attinto dagli esistenti organismi di rappresentanza degli italiani nel mondo, uno fra tutti il Cgie.
Ho evidenziato, con una nota al presidente Napolitano e dopo un interessante studio, il vulnus costituzionale che emergerebbe qualora l’articolo 57 della costituzione non prevedesse questa rappresentanza.
Ma dinanzi alla bocciatura del mio emendamento in aula, teso proprio a garantire l’equilibrio di rappresentanza tra le due camere, sarebbe stato troppo facile fare un passo indietro, ritirandomi dalla maggioranza ed avviando una guerra santa che somiglierebbe più ad una battaglia di marketing elettorale che ad una lungimirante strategia politica.
Il coraggio sta nel restare in questa maggioranza, e combattere dal di dentro per le proprie proposte e le proprie idee.
Diversamente da coloro che pur beandosi di collocarsi contro la maggioranza, in realtà non fanno altro che assordarci con il loro silenzio operativo.
Io non voglio il perdurare dell’immobilismo con una democrazia regolabile ai nostri umori partitici, voglio che si cambino le regole del gioco per fare bene e meglio, perché senza il coraggio riformatore, il Paese rischia di restare prigioniero di un perenne “inciucio” ereditato dalla prima Repubblica.
Comprendo chi, con una diversa opinione, ritiene che la rappresentanza nell’ambito del nuovo senato possa assumere una fisionomia diversa. Si è intellettualmente liberi e ognuno opera, attuando il portato della propria esperienza.
Io ho voluto operare una scelta diversa tramutando in proposta quella che è stata la mia esperienza politica: intraprendendo forse il percorso più complesso, quello di mettermi in prima linea nella sfida delle riforme.
Non tirandomi indietro, però, dal segnalare quanto ancora è possibile e necessario fare, senza barricarmi dietro a comode posizioni di accondiscendenza improduttiva.
Non ci sono interessi di parte, accordi di partito o ambizioni personali dietro questo.
C’è soltanto la sincera e trasparente volontà di essere portatore di un cambiamento: ed è proprio questa la scelta più coraggiosa.
Voglio essere un “responsabile produttivo”, fermo nella mia convinzione generale di riforma sistemica, ma motivato a continuare un percorso di confronto che non è ancora terminato, in nome della legittimità costituzionale e del rispetto verso conquiste democratiche operate negli anni passati.
E’ finita l’epoca delle barricate, quelle servono solo ad animare le agenzie di stampa: i risultati e le conquiste si ottengono con il confronto e la coerenza ed in questa prospettiva ritengo che ci siano tutte le premesse per superare il guado che attanaglia il futuro del nostro Paese.
Aldo Di Biagio