Benedetto XVI e le tentazioni di Gesù nel deserto

Rileggendo il primo bellissimo libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazaret”, ho trovato il solito punto interrogativo a matita che metto alle volte a margine delle pagine, quando un passo mi lascia perplesso. L’ho riletto, e la perplessità non è svanita. Il pontefice a pagina 57 scriveva: “Veniamo alla seconda tentazione di Gesù…Anzitutto c’è qualcosa di strano. Per attirare Gesù nella sua trappola il diavolo cita la Sacra Scrittura. Cita il Salmo 91, 11s che parla della protezione che Dio garantisce all’uomo fedele…L’intero colloquio della seconda tentazione si configura come un dibattito tra due esperti della Scrittura: il diavolo vi appare come teologo…Così l’interrogativo circa la struttura del curioso dialogo…”.

In realtà, nell’episodio non c'è nulla di strano, né di curioso, se si tiene presente che non è il diavolo in persona a citare la Sacra Scrittura, ma Gesù stesso. Gesù è il teologo, l’esperto della Scrittura. Il dibattito è interiore; avviene nella mente di Gesù. E’ strano piuttosto che il Pontefice trovi credibile un diavolo che non solo recita le Scritture, ma che, prelevato tranquillamente il Signore dal deserto, lo faccia levitare sul pinnacolo del Tempio in Gerusalemme, e poi se lo porti su un monte altissimo per mostrargli tutti i regni del mondo. Tanto alto da permettere la visione del mondo intero? E se aveva la possibilità di mostrare a Gesù tutti i regni del mondo, che bisogno c’era di salire su un monte altissimo? E’ evidente che tutto l’episodio non può essere preso come una narrazione storica.

Renato Pierri

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