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Ritengo opportuno illustrare le motivazioni di una scelta ben lontana dalla volontà  di porre dei veti o impedire delle riforme

Ritengo opportuno illustrare le motivazioni di una scelta ben lontana dalla volontà di porre dei veti o impedire delle riforme: da tempo, infatti, abbiamo avanzato proposte puntuali ed equilibrate, rispettose tanto dell'esigenza di riformare l'assetto delle nostre istituzioni quanto della filosofia di fondo che anima la nostra Carta Costituzionale.

Le riassumo sommariamente per titoli: superamento del bicameralismo paritario con fiducia e bilancio riservati alla Camera, distinzione delle competenze in maniera tale che il Senato possa assolvere davvero alla funzione di Camera delle Garanzie, razionalizzazione dei servizi e riduzione del numero dei senatori e dei deputati (106 e 315) per garantire anche, non solo ma anche, un risparmio dei soldi dei contribuenti nettamente superiore a quello previsto dalla proposta del Governo (e soprattutto dotato di un senso e di una razionalità), e mantenimento dell'elezione diretta dei senatori.

Su questo ultimo punto in particolare, a nostro avviso determinante, non abbiamo mai ricevuto una risposta nel merito tale da farci cambiare idea o quanto meno favorire una discussione libera e aperta: con tutta la fiducia che si può avere nella classe dirigente degli enti locali, non si capisce davvero per quale motivo questa dovrebbe garantire la capacità di armonizzare le istanze del territorio con le necessità dello Stato, se di Senato delle Autonomie si vuol parlare. Si intravede chiaramente, invece, il concreto rischio di riprodurre la Conferenza Stato-Regioni, e di cadere in un equivoco che gli Stati Uniti riconobbero e superarono già nel 1913, quando abolirono l'elezione di secondo grado e istituirono l'elezione diretta dei senatori proprio per evitare l'evidente strapotere delle lobbies sulla classe dirigente locale.

Inoltre, questa riforma non può essere valutata senza tener conto delle altre, dalla riforma del Titolo V che riporta al centro una serie di competenze strategiche, fino alla legge elettorale: un uomo solo al comando, quale sarebbe un segretario di partito che nomina i deputati che eleggono il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, non fa bene alla democrazia.

Io mi auguro che i prossimi giorni possano sollecitare una riflessione più aperta e democratica, soprattutto legata ad un orizzonte riformatore che sia degno della Costituzione che andiamo a modificare: fino a oggi nessuno, quanto meno a sinistra, ha mai scambiato il consenso con il diritto a smontare unilateralmente le garanzie costituzionali che il popolo italiano ha conquistato grazie alla Lotta di Liberazione.

Claudio Micheloni

Roma, 12 giugno 2014

Sen. Claudio Micheloni
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