LIVORNO E CIVITAVECCHIA: SEGNALI DI UN’ITALIA NUOVA E ANTICA

La prima notizia del voto amministrativo è di quelle che fanno tremare i polsi. Gli Italiani e le loro esigenze si somigliano. Se il Movimento 5 Stelle aveva realizzato il suo primo exploit a Parma, era legittimo credere che un movimento di contestazione, nato attraverso una comunità telematica, avrebbe rappresentato al più la valvola di sfogo di una borghesia satolla, ma insofferente, desiderosa di riaffermare una “policy” dell’equilibrio e dell’equità (intesa almeno come buona amministrazione). Altri, soprattutto molti editorialisti della cd. Sinistra radicale, avevano additato i grillini ad ultima propaggine della xenofobia europea. Molti altri, certo, si erano accorti che la lettura dovesse essere meno semplicistica, ma i corteggiamenti di pochi si erano arrestati al mancato ingresso nel Governo Bersani -difatti mai nato. Si è preferito, in sede parlamentare, puntare all’avvicinamento circostanziato di singoli deputati e senatori, non già a un’interlocuzione col movimento nel suo complesso. Il voto alle Regionali in Sicilia, però, aveva dimostrato che la disaffezione verso la solita politica che si difende dall’invasiva (e aborrita) percezione del reale era forte dappertutto. Ora, il Movimento ha espugnato il bastione rosso di Livorno e una città importante, a pochi chilometri dalla Capitale, Civitavecchia. È possibile dar lettura congiunta di così diverse situazioni locali, specialmente dopo la batosta delle Europee che ha visto i 5 Stelle arretrare di circa venti punti, sotto l’evidente affermazione di Matteo Renzi, come “uomo-comunicazione” del suo Partito Democratico? Certo, è possibile. E, forse, l’affermazione dei 5 Stelle viene proprio dalla roboante performance del Presidente del Consiglio e del suo partito, appena quindici giorni prima. Quando un partito si perde nell’autocelebrazione, quando rinuncia a parlare con le posizioni più interessanti, libere e articolate al proprio interno (vedi, ad esempio, le affermazioni di Corradino Mineo sulla riforma del Senato: un errore buttarle a mare, un errore sostituirlo o, si sarebbe detto in altri periodi, “purgarlo”), rischia di cedere la mano anche nei propri territori di più forte insediamento.
Livorno è una città di dignitosissima tradizione operaia; anche l’espansione di un certo terziario e le trasformazioni imposte agli scenari industriali tradizionali avevano conservato le impressioni di una terra attaccata a valori, difficilmente compiacente, spesso controcorrente. Come poteva Livorno, dopo lo smantellamento del proprio ceto produttivo e la stanca reiterazione del modello organizzativo di amministrazioni di centrosinistra, svoltare e chiedere una discontinuità vera, non fatta delle promesse iperboliche o del neorampantismo, ma di un minimo di faccia a faccia coi problemi concreti? Evidentemente, il Movimento 5 Stelle è parso in grado di incarnare tutto ciò. Nessuna “conventio ad excludendum”: non è un partito, e men che mai assimilabile a quelle Destre, sempre respinte e sempre minoritarie nel Livornese. Nessuna nostalgia per il “si stava meglio, quando si stava peggio”: in Toscana, il Partito Democratico è naturalmente il partito di maggioranza. Addirittura di maggioranza assoluta. Ha tradizionalmente vinto dovunque potesse vincere e continuerà a farlo. Ma il Partito Democratico sembra essersi trasferito a Roma: se il locale diventa la scusa per egemonizzare il nazionale, i territori scontano ferite e vogliono partecipazione. Nogarin dovrà partire da qui, a volere fare un po’ di teoria, e, soprattutto, accettare la sfida cittadina di una condizione non proprio irenica, ma che deve poter sollevarsi.
A Civitavecchia non mancano alcuni, simili, motivi di interesse. La cintura capitolina è stata spesso feudo di Alleanza Nazionale: molti di quei consensi, però, sono stati mal gestiti da chi li raccoglieva, quasi si trattasse di semplici cartelli elettorali. E, perciò, quando, negli ultimi anni, tutte le volte si è passata mano a Sinistra ha, in qualche misura, prevalso l’onda lunga dell’Urbe: per ragioni di contiguità geografica e di flussi elettorali. Tradizionale presenza di una fortissima Destra sociale, non occasionali ricomparse del centrosinistra più vicino alle correnti volta per volta più forti negli organigrammi di partito e, però, il risultato di una cittadella (mica tanto, a guardar le dimensioni), afflitta da tutti i problemi dell’area laziale intorno a Roma: l’indecifrabile aumento della criminalità, che invece dovrebbe essere leggibilissimo, l’arretramento di alcuni settori economici un tempo cardinali, le incertezze tra rivitalizzare il vecchio e far prevalere un incerto, strumentale?, nuovo.
Sono due sfide impegnative e diversissime, sulla base di insoddisfazioni e aspettative, però, sorprendentemente comuni. Forse sfide più utili della fallita scalata a Bruxelles. Là una appartenenza parlamentare europea da costruire ex novo (e non sapremo se funzionerà). Qui territori delusi dagli stessi equilibri che fino ad oggi li avevano connotati. Se è vero cambiamento, non può che partire da questa presa d’atto.
Domenico Bilotti

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