RECESSIONE

Senza diatriba alcuna, restiamo uno dei fanalini di coda di quest’UE in trasformazione economica continua. In testa, almeno per ora, resta la Finlandia col 67% di giovani pienamente occupati e con un PIL che non è mai stato in negativo. Ora, tornando alla realtà di casa nostra, solo il 18% dei disoccupati dichiara di svolgere ancora un lavoro saltuario. Non abbiamo difficoltà a crederci. Il Bel Paese è ancora in ginocchio. La questione, però, appare assai più complessa e variegata. Per questo tortuoso complesso di motivi, i conti non tornano ancora. Non possono tornare. L’attuale Esecutivo, più riformatore di quanto si poteva prevedere, resta un interrogativo per molti italiani ed un banco di prova per i partiti che lo sostengono. Dato che la cassa è vuota ed il carico fiscale non riesce a sanare la bisogna, c’è da trovare una “nuova” via che eviti il peggio. Del resto, e gli economisti l’hanno confermato, la linea Renzi è solo riuscita, sino adesso, a rimandare un problema di pubblica economia che chiederebbe ben differenti soluzioni. Dopo l’estate, nell’attesa di elezioni politiche generali “riformate”, l’Italia si presenterà differente, almeno, nelle amministrazioni locali. I “tagli” hanno colpito anche gli enti territoriali, con effetti che potranno essere valutati solo nel tempo. A bel osservare, non sono presenti altre scelte per ridare vitalità ad un’economia vittima anche di una speculazione che, forse, poteva anche essere scansata. L’aliquota dei disoccupati e quella dei giovani alla ricerca di una prima occupazione ha superato quota “28”. Come a scrivere che si perde, o non si trova, lavoro sopra la soglia dei 28 anni. Nel resto dell’UE questa quota è, mediamente, a “35”. Senza essere degli economisti, appare evidente che quando il Prodotto Nazionale Lordo (PIL) è solo in lieve positività “altalenante”, è impossibile negare la presenza di un processo involutivo complesso ed in continuo mutamento. Dal 2015, a detta degli esperti, qualcosa dovrebbe cambiare. Ci chiediamo come. Secondo il nostro modo di vedere, l’anno prossimo sarà il primo di un quinquennio caratterizzato da una minore contrazione dei consumi e, forse, con un inizio di miglior investimento nel settore produttivo pubblico e privato. Ora, giacché l’appiattimento economico è una realtà, s’è inteso che non è ragionevole imporre altri sacrifici che non darebbero i risultati sperati. La Seconda Repubblica, che per noi è sempre stata un mito, non esiste più neppure sulla carta. Mentre tutti i problemi della Penisola sono stati solo intaccati. Ne risulta che i politici nazionali hanno ancora molto da addottrinarsi per evitare che certe mancanze s’incancreniscano. La sperata “mini” ripresa d’autunno, se ci sarà, potrebbe essere motivo di un assestamento pre elettorale al quale dovremo, progressivamente, abituarci. Perché, almeno, col nuovo anno, la Legge Elettorale non sarà più la stessa. Se le vacche grasse non ci sono più, dubitiamo, a ragion veduta, che anche quelle magre possano ancora pascolare in questo desolato sistema socio/economico che è da cambiare. La recessione non è un termine vago che indica, genericamente, un regresso. In questo termine, sempre più temuto e presente, c’è il futuro di un Paese in forte crisi d’identità. Anche Renzi, uomo giovane della politica italiana, lo ha inteso da subito. Nei suoi interventi c’è l’impronta di una volontà di cambiamento. Ma l’Italia ha bisogno di consensi ben più qualificati di chi è riuscito a realizzare ad un Esecutivo dove “destra” e “sinistra” sembrano tendersi la mano. In Parlamento la situazione non è ugualmente “armonica”. La recessione potrebbe, così, dare impulso a nuove tattiche tramite le quali anche il passato politico potrebbe ritornare alla ribalta nazionale. Non sarebbe, purtroppo, neppure la prima volta.

Giorgio Brignola

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