Site icon archivio di politicamentecorretto.com

ANDARE A VOTARE? E COSA ECCO UNA GUIDA RAGIONATA AL VOTO E AL “DOPO”

TERZA REPUBBLCA

Ci siamo. Dobbiamo decidere che fare. Andare a votare o stare a casa, naturalmente dando all’astensione una valenza politica? Oppure scegliere il genere di voto “meno peggio”? O, al contrario, indirizzarsi verso quello che si ritiene l’ultimo argine partitico capace di contenere la piena del qualunquistico “tanto peggio, tanto meglio”? Alcuni lettori ci hanno rimproverato, seppur bonariamente, di non fatto outing sulle nostre intenzioni di voto. Altri, ci hanno chiesto di schierarci apertamente a favore di Renzi, visto che fin dall’inizio della sua avventura di governo abbiamo assunto un atteggiamento di “supporto critico”, nella convinzione che se dovesse bruciarsi anche questo tentativo di dare corpo ad una certa stabilità politica, e per di più riformista, a rischio ci potrebbe essere la stessa democrazia. Non abbiamo nessuna remora a rispondere a questi amici: sì, quello a Renzi sarebbe l’unico voto possibile. Certo, abbiamo usato il condizionale. E non per banale prudenza. Ma perché rispetto a questa scelta ci sono diverse controindicazioni che non possiamo sottacere. Non di alternative di voto – rimarrebbe solo l’astensione – giacché nessuna formazione in campo ci sentiamo in coscienza di segnalare ai nostri lettori, o per ragioni di opportunità politica o per insufficiente consistenza rispetto alla soglia di sbarramento. Ma proprio legate, queste contraddizioni, alla figura di Renzi, al ruolo del Pd e alle performance fin qui avute dal governo in carica.

Si dice: Renzi è l’unico argine al populismo radicale e inquietante di Grillo. Vero. Ma se nel tentativo di contenere questa tendenza pericolosa si finisce per alimentarla, allora viene da domandarsi dove stia il vantaggio. E sì, perché così è stato: prima con un’azione di governo di chiaro stampo elettorale – gli 80 euro per essere davvero “rivoluzionari” avrebbero dovuto essere dichiaratamente privi di copertura e usati come sfida alle politiche di austerità europee, pur se accompagnati da un piano di rientro dall’eccesso di debito – e poi con una campagna elettorale in cui all’inizio Renzi ha commesso l’esiziale errore di definire il voto del 25 maggio un derby tra lui e Grillo, inseguendolo continuamente sul suo terreno. Fino ad essere costretto, negli ultimi giorni, ad ammettere che l’ambizione non era più il 35% e 10 punti di distacco con i 5stelle, ma un molto più modesto target di poco oltre il 26% delle scorse europee o addirittura il 25% portato a casa da Bersani alle ultime politiche. O impelagarsi in dichiarazioni tipo “anche se perdo non mi dimetto”. Diciamoci la verità: Renzi ha scelto di usare il linguaggio grillino per prosciugare il grillismo, ma si è ritrovato suo malgrado ad esserne il principale alimentatore, avendo sottovalutato una regola ferrea della politica: tra l’originale e l’imitatore, la gente sceglie sempre il primo. Se sei al governo e scrolli l’albero del neo-pauperismo e della spending review (taglio degli stipendi, stop alle auto blu, via Province e Senato, ecc.) devi sapere che Grillo va oltre dicendo che farà le liste di proscrizione e metterà tutti al muro, e ti terrà il fucile puntato per vedere se avrai fatto quello che hai promesso. Se temi di perdere voti mostrandoti garantista e di conseguenza lisci il pelo alla tendenza manettara (caso Genovese, per esempio) poi inevitabilmente perdi dal tappo (i garantisti) e dalla spina (i giustizialisti, che si riconoscono con più facilità nelle parole d’ordine sguaiate di Grillo). Se fai crescere la piena della rabbia sociale, ovvio che straripi altrove rispetto a palazzo Chigi. Se imposti una campagna per elezioni europee – per quanto in sé nulla di più lontano dalla creazione di un vero parlamento federale – sostenendo che si tratta di un referendum sulle classi politiche nazionali nella presunzione di trarne vantaggio per via dell’età anagrafica che dovrebbe farti apparire come la discontinuità, ma sei alla guida del governo in carica, avrà molto più agio ad intestarsi il titolo di rottamatore uno che sta fuori dal palazzo e usa parole universali come “vaffanculo”.

Insomma, Renzi è oggettivamente l’unico argine all’anarchismo che la probabile vittoria di Grillo – politica, quand’anche non numerica – produrrà. Ma non poteva interpretare peggio il ruolo. E come premier, e come leader di partito. Questa osservazione non ci rallegra certo, né ci consente di avere delle alternative da offrire a chi ci legge e segue da tempo le nostre analisi e le nostre proposte. Una cosa però la sappiamo con certezza, e la diciamo senza infingimenti a chi ha deciso di votare il Pd di Renzi, e in particolare a chi si accinge a farlo per la prima volta: la campagna elettorale si è chiusa all’insegna di un congiunto attacco frontale di Renzi e Berlusconi a Grillo. E a urne chiuse, sempre Renzi e Berlusconi saranno l’unico antidoto ai pentastellati e alla pressione che costoro eserciteranno su Quirinale, Parlamento e Paese. Dunque occorre esserne consapevoli: chi vota Pd vota sperando che regga il patto del Nazareno, anzi che se ne faccia un altro ancora più impegnativo, che riporti Forza Italia in maggioranza. Altrimenti quel voto non ha senso. Non lo stiamo sminuendo, stiamo soltanto dicendo che è bene esserne coscienti.

Lo diciamo prima del voto, assumendoci il rischio che è sempre insito nelle previsioni: dal 26 maggio sarà possibile un solo governo come alternativa ad elezioni anticipate che incorporano una dose micidiale di incognite, quello Renzi-Berlusconi. E francamente non sappiamo davvero dirvi cosa è peggio. Buon voto, buona astensione.

Per ulteriori informazioni, consultate il sito www.terzarepubblica.it

o scrivete all’indirizzo redazione@terzarepubblica.it

Informazione equidistante ed imparziale, che offre voce a tutte le fonti di informazione

Exit mobile version