Il grande Enzo Apicella, una vignetta satirica al giorno, non si stanca mai, e a giugno compie 92 anni. Trascrivo brevi note biografiche da Wikipedia: “Dal 1954 vive a Londra. Ha collaborato e tuttora collabora con quotidiani e riviste di fama internazionale come il «Guardian», l'«Observer», «il manifesto», «Punch», l'«Economist», «Private Eye» e «Harpers & Queen». Inoltre ha progettato oltre 140 ristoranti e dipinto numerosi murales. È designer e grafico, architetto e decoratore. Ma soprattutto cartoonist: il profilo di un creativo che ha scelto di stare con i più deboli. Da Cuba alla Palestina”.
Ci conoscemmo grazie a una sua vignetta sul quotidiano che non c’è più, “Liberazione”. Il 21 febbraio del 2006, il giornale di Rifondazione Comunista pubblicava questa mia: «Gentile Piero Sansonetti, è interessante analizzare la vignetta di Apicella su Liberazione del 17 febbraio, per scorgervi un significato che il disegnatore stesso probabilmente non aveva intenzione di conferirle. L'accostamento del crocifisso al prigioniero iracheno torturato dai militari americani, mette in evidenza l'errore dei cristiani nell'aver scelto un simbolo, il cui primo significato, diretto (quello indiretto è il sacrificio del Salvatore), evidente a tutti, ma soprattutto a coloro che non conoscono il cristianesimo, è quello della ferocia e della ottusità degli uomini. La chiesa primitiva cercò di reprimere per lungo tempo l'uso di farsi immagini di Gesù, poiché osservava il Decalogo che proibiva di fare “scultura e alcuna immagine né di quello che è su nel cielo, né di quello che è quaggiù sulla terra” (cf Es 20,4), ma si può essere certi che se gli apostoli avessero voluto raffigurare il Signore, non lo avrebbero mai ricordato in condizioni misere ed orrende, giacché il ricordo della flagellazione e della crocifissione suscitava in loro vivo ribrezzo. Non è possibile, infatti, ricordare una persona cara, suppliziata ed uccisa, effigiandola nei terribili momenti dell’agonia e della morte; occorre un certo distacco, mancanza d’amore, forse un po’ di cinismo. I due gravissimi atti con cui si conclude il processo a Gesù – la flagellazione e la condanna – sono appena accennati dagli evangelisti. La più antica rappresentazione del crocifisso, rappresentazione iconografica del supplizio di Gesù, risale al IV secolo (S.Sabina, a Roma). Non è azzardato immaginare che qualora gli apostoli avessero avuto la possibilità di effigiare il loro maestro, volendo simboleggiare il suo sacrificio, lo avrebbero fatto servendosi della figura alla quale Gesù stesso era ricorso: la frazione del pane, ed oggi il cristianesimo non avrebbe come simbolo il crocifisso».
Enzo mi rispose brevemente: «Caro Pierri, la ringrazio dell'interesse e per avermi illuminato sul recondito significato della mia vignetta. La sua è una grande idea; sostituire il crocifisso con la frazione del pane, alle vere origini del cristianesimo socialista! Disegniamo insieme il logo?».
Qualche mese dopo venne a Roma e c’incontrammo in un caffè di Piazza del Popolo.
Renato Pierri