TERZA REPUBBLICA
Caro Renzi,
sappiamo che alle prossime europee ti giochi tutto –e con te il Paese – e per questo ti proponiamo un “patto pasquale”: noi, nel nostro piccolo, ti assicuriamo tutto l’appoggio necessario, ma tu ascolta i suggerimenti e le critiche costruttive che ti vengono rivolte. Sappi che noi sosteniamo che non si può giudicare la tua politica economica senza aver anteposto l’indispensabile premessa che il governo è nella particolare situazione, positiva per molti versi ma vincolante per altri, di avere ragione per definizione. Nel senso che è così alta la posta in gioco intorno al tuo successo – se dovessi cadere si aprirebbe una fase di crisi concomitante di centro, destra e sinistra a dir poco devastante per la mancanza di sbocchi (democratici) – da indurre chiunque abbia un po’ di sale in testa e voglia minimamente bene al Paese a parteggiare aprioristicamente per il presidente del Consiglio e la sua scommessa. Proprio questa premessa, però, legittima – anzi, per certi versi obbliga – chi assume questa posizione, a dire con schiettezza e spirito costruttivo, ciò che non funziona nella manovra del governo. E di cose che non funzionano, purtroppo, ce ne sono molte. Troppe.
D’accordo, sei arrivato a palazzo Chigi troppo presto e in un clima da ultima spiaggia per la politica, e hai dovuto (ma anche voluto, sii sincero) impostare una manovra che puntasse prima di tutto a farsi sopravvivere politicamente. Tranquillo, non è un giudizio negativo il nostro: in politica chi è convinto di avere delle cose importanti da dire e da fare, prima di tutto deve consolidarsi sul piano del consenso, senza il quale non si va da nessuna parte. E oggi in Italia (ma anche in Europa, a quanto si vede), il consenso richiede dosi massicce di populismo per essere conquistato e gestito. Dunque, hai scelto di imboccare la strada della riduzione dell’Irpef, sperando che dire “metto 80 euro in più in busta paga ai lavoratori” potesse mitigare l’incazzatura degli italiani, ed evitare che finiscano preda degli ultra-populisti “vaffa” di Grillo, tuo vero competitor nelle elezioni europee. Okay. Ma attenzione, a non commettere lo stesso errore del tuo predecessore (nel senso del re degli imbonitori mediatici), Silvio Berlusconi, che finiva per credere alle balle che prometteva, perché privo – lui e il grosso di coloro di cui si è sempre circondato – di quella cultura di governo che ti fa saper distinguere la promessa elettorale dai provvedimenti veri e necessari. Perché se tu pensi, caro Renzi, che con quegli 80 euro rimetti in moto l’economia italiana, ti sbagli di grosso. A dirlo non siamo noi: è l’Istat e persino il ministro Padoan. L’Istat, infatti, stima che le misure del Def produrranno un effetto positivo sul pil dello 0,2% a fronte di una ricaduta sul fisco per 11,3 miliardi all’anno, percentuale che potrebbe dimezzarsi al netto degli interventi di copertura delle maggiori spese e minori entrate previste dal Def. E se anche fosse che la ricaduta sul pil si rivelerà di tre decimi di punto come ha affermato più ottimisticamente Padoan, ci ritroveremmo comunque ad aver “speso” (nel senso di minori entrate tributarie) molto più di quanto “incassato” (crescita economica), nel rapporto di uno a tre o uno a quattro: un beneficio di 3 o 4,5 miliardi contro oltre 11 di mancato gettito. Dinamica che sarebbe stata ben diversa se, a parità di perimetro della manovra, l’intervento fosse stato tutto dedicato alla fiscalità che grava sulle imprese.
Non solo: si è annaspato per giorni intorno alla ricerca delle coperture necessarie. Cosa che non tranquillizza, perché questi tentativi un po’ disperati di cavar denaro da tagli di spesa con la benda agli occhi, un po’ causali e molto lineari, e in tutti i casi non strutturali, producono danni gravi. È comprensibile che in certe circostanze non si guardi troppo per il sottile, e che, per esempio, menare fendenti alle banche o tagliare gli stipendi dei manager e dei funzionari pubblici sia uno sport popolare che rende in termini elettorali. Ma bisogna anche essere coscienti dei problemi che certe scelte generano: è arduo perseguire la crescita economica se si penalizza uno snodo vitale come il sistema bancario, è dura migliorare l’efficienza della burocrazia se anziché la meritocrazia si usa l’appiattimento parificante (verso il basso).
Allora, caro Renzi, tieni a mente che il populismo è sempre un’arma a doppio taglio, e stai attento. Così come evita di prendere tic tremontiani: non sono tutti “gufi” quelli che hanno sollevato obiezioni. Con il bagaglio del Def e della manovra “più soldi in tasca”, affronta le elezioni, ma ricordati che subito dopo – sperando che Grillo non abbia il risultato che alcuni sondaggi gli attribuiscono – quello shock rivoluzionario di cui hai parlato, dovrà essere prodotto con riforme davvero incisive e strutturali e con un “piano Marshall” che tiri fuori il Paese dalla crisi in cui, tuttora, è sprofondato. Non sono “gufi” quelli di Bankitalia, quando dicono – nel bollettino emesso ieri – che il quadro economico resta fragile, che per la domanda nazionale si registra solo un lieve miglioramento, che l’occupazione dovrebbe continuare a scendere per tutta la prima metà del 2014 e tornare a salire non prima della fine dell’anno, e che persino la competitività degli esportatori è scesa (di circa quattro punti percentuali da metà 2012) nonostante l’export sia la nostra unica ancora di salvezza.
Buona Pasqua, signor presidente del Consiglio.
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