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QUANTO E’ DIFFICILE SCRIVERE E INSEGNARE IN LIBERTA’

Giovanna Canzano

intervista

Claudio Moffa

Miti e realtà della libertà di rete (prima parte)

CANZANO 1- La libertà di opinione e di pensiero è stato oggetto di suoi studi e pubblicazioni, oggi, queste libertà sono ancora garantite?

MOFFA – Sono garantite formalmente, dalla Costituzione e da alcune norme sull’insegnamento. Sono garantite anche da alcuni parlamentari coraggiosi o comunque vigili, quelli che hanno fatto saltare più volte il tentativo dei soliti noti di imbavagliare la storia. Alcuni forse sopravviveranno politicamente, altri sono stati puniti. Penso a una deputata del PD, che alla vigilia della caduta del governo Monti, nel dicembre 2012, sollevò con chiarezza il problema della libertà di opinione nel votare contro l’ennesimo tentativo di introdurre in modo surrettizio una legge liberticida alla francese o alla tedesca anche in Italia. Non è stata ricandidata. Comunque – vedi anche l’intervento procedurale dei grillini nell’ultimo assalto del gennaio scorso, e il ruolo del Pdl nella caduta del governo Monti – la resistenza c’è o per lo meno c’è stata fino adesso. Ma l’aggressione ai principi costituzionali contenuti negli art. 21 e 33 non avviene solo attraverso una legge, ma anche attraverso altri meccanismi di censura e grazie ad altri protagonisti della questione

CANZANO 2- Puo’ fare qualche esempio?

MOFFA – Gli esempi possono essere tanti, dalla rete ai media, dalla polizia postale al luogo di lavoro. E ovviamente alla magistratura …

CANZANO 3- Cominciamo dal primo punto: la ‘rete’ tende ad ‘uniformare’ la cultura e a proporci un modello che piace ai ‘cosiddetti governanti’, infatti, la rete è monitorata, e, continuamente vengono ‘oscurati’ siti ‘non conformi’ alle volontà del ‘grande fratello’. Ha avuto anche Lei problemi con la rete per le sue iniziative?

MOFFA – Sì, la mia lezione su Shoah tra Storia e Politica, giudicata da magistrati che l’hanno letta priva di alcun disvalore antisemita, e anzi persino apprezzata, e oscurata ogni tanto su you tube come la video-intervista di David Cole: una icona rossa che non apre nulla e una scritta di accompagnamento che avvertiva che per il suo contenuto quel video non era visibile. E’ il delirio censorio dei soliti noti, che usano la loro ‘giustizia’ privata, non essendo ancora riusciti, in Italia, a imbavagliare la storia per legge . Questo il caso più evidente: e poi, come tantissimi blogger tutte quelle forme di mobbing informatico che ti fanno perdere tempo, ti diffamano, si infilano nei siti o su FB con amici-fakes utili a reindirizzare i dibattiti su binari ortodossi. Magari la stessa persona con due nicknames, che litigano tra loro, e tu parli di una cosa e loro spostano l’attenzione su altro

CANZANO 4- Nel tempo, questa situazione diventa insopportabile, anche a me capitano cose del genere …

MOFFA – Verissimo, ci sono tanti modi indiretti e ‘privati’ di censurare in rete: su fb 3 o 4 tag e poi ti bloccano; siti che non riesci a caricare in rete, interpelli il fornitore e non capisci perché. E allora bisogna fare una corretta analisi della ‘rete’ e stabilire un paio di principi per regolarla: l’analisi vuol dire che la rete non è sempre il preteso regno della libertà, i cui cittadini devono ribellarsi a ogni tipo di normazione. La rete ha una potenzialità liberatoria enorme e contribuisce alla crescita qualitativa e quantitativa dell’alfabetizzazione di massa, ma presenta anche rischi: vedi a proposito dell’alfabetizzazione il degrado della lingua delle giovanissime generazioni, un linguaggio-chat pieno di o, ah, aoh, zeppo di errori forse anche a causa della piccola tastiera dell’ iphone, ma che comunque, reiterati, finiscono per produrre un pessimo italiano, dove la famosa x al posto di ‘per’ da cui la nota scenetta su Bixio trasformato in Biperio, è il minimo. Quanto alla libertà della rete, il carattere privatistico dei grandi server, provider etc – peraltro sempre o quasi con sedi legali in paesi lontani – è la base di tutti gli abusi. Bisognerebbe tentare con dei fornitori autoctoni, come si provò nella Francia di Chirac anni fa, un nuovo motore di ricerca concorrente di google, un progetto ambizioso poi fallito.

CANZANO 5– Ma anche la Cina ha fatto muro contro google e ha creato un suo motore di ricerca. Ma non si puo’ dire che sia un paese libero …

MOFFA – Vero, ma innanzitutto è da chiedere ai cinesi cosa pensano della cosa. E poi noi siamo in Europa, si potrebbe pensare a un mega motore di ricerca europeo, e ad altri servizi di eguale spessore, altrimenti gli abusi continueranno a dilagare grazie al monopolio di fatto esistente.

CANZANO 6– E dunque quali principi bisognerebbe applicare?

MOFFA – In primo luogo, a monte, bisogna affermare e pretendere il principio di responsabilità e di identificazione di chiunque pubblichi sulla rete; a valle, chiedere che le leggi dello Stato vengano applicate anche sulla rete. Esistono ovviamente leggi ingiuste o da riformare, come la stessa legge Mancino del 1993, ma il terreno di scontro va spostato in Parlamento, senza cercare e sperare di fare della rete una zona franca, un’isola felice dove pensi di poter scrivere quello che vuoi, perché così ci si rimette soltanto: tu ti dichiari a favore dell’abolizione della Mancino, o fai una lezione innocentissima e priva di risvolti antisemiti, o scrivi un articolo sull’Iran o sulla Palestina, e ti ritrovi da una parte insultato, diffamato, minacciato da veri o presunti soggetti in rete, e dall’altra emarginato con le censure di cui sopra. Dunque i codici penali e civili vanno applicati anche su internet, contrariamente a una tendenza finto-libertaria e fino-anarchica in rete, e gran parte della giurisprudenza che reputa i reati compiuti on line meno gravi di quelli su cartaceo. Non è vero, semmai certi reati sono ancora più gravi in rete, per almeno due motivi: perché sono reiterati nel tempo: se ti diffama un quotidiano, la cosa resta lì, un giorno o una settimana e poi torni a respirare. Ma in rete le cose restano a volte persino oltre la circolazione ufficiale – ad opera dell’autore – dello scritto diffamatorio o minatorio.
Secondo motivo, perché chi li compie si nasconde meglio …

CANZANO 7– Dunque siamo arrivati al principio di responsabilità e di identificazione di chi pubblica in rete …

MOFFA – Proprio così: una prima regola etica da diffondere è che bisogna chiedere a tutti di assumersi la responsabilità pubblica delle proprie prese di posizione. Alcune volte comunque ciò è impossibile, ci sono professionisti – penso agli stessi avvocati – che possono necessitare di un nickname. Oppure qualcuno si diverte a firmare con un soprannome simbolico. Tutto bene: ma se quel qualcuno commette un qualsiasi reato, deve poter essere identificato sia dalla vittima, sia dalla magistratura. L’IP del computer dovrebbe essere la base di questa identificazione, un po’ come il telaio delle auto, una carta d’identità del computer su cui è stato commesso il reato. A difesa della vittima e delle vittime, non a lesione della ‘libertà della rete’ come pretendono certi furbi o ingenui.

C ANZANO 8- Ma non mi pare così semplice, il computer puo’ essere rubato, oppure puo’ entrarci un hacker per attribuire al malcapitato il reato da lui commesso …

MOFFA – Ma intanto c’è la base da cui partire, in parallelo si deve pensare a vere difese dagli hacker con l’aiuto di altri poteri forti ma democratici e liberali, quale potrebbe essere lo stesso Stato-governo italiano … Gli ostacoli veri dunque non sono questi, ma altri due: da una parte c’è Aruba che si è messa inventare una pluralità di IP per caricare i siti, IP però che non dovrebbero essere quelli anagrafici del computer stesso. In questo modo si creano però molte ambiguità di rintracciamento degli autori dei post su quel sito, che potrebbe essere stato infiltrato da un hacker. Dall’altra ci sono i PM archivia tutto, quando chi compie il reato appartiene a giri forti, alle caste intoccabili che imperversano nel nostro paese. Tre miei esempi, a cui potrebbero aggiungersi in un dossier di centinaia di pagine quelli di tantissimi altri navigatori della rete: la Polizia postale di Viale Trastevere che afferma che non si puo’ far nulla contro le intrusioni di hackers nella mia pagina FB, segnalatemi da Facebook con tanto di luogo di compimento dell’incursione! Un Pm del Giudice di pace, che ripete la stessa cosa, dopo aver individuato e interrogato l’autore di un messaggio contenente una minaccia di aggressione (e forse di morte, visto il richiamo alla solita “resistenza”). E due PM, uno romano e uno teramano, che alle prese con un sito di sedicenti anarchici (alla Pinelli o alla Bertoli?) che mi aveva minacciato e diffamato se avessi partecipato a un dibattito sulla Palestina, chiedono e alla fine ottengono (quello di Teramo) l’archiviazione. Eppure a disposizione del GIP e dei due PM c’erano due indirizzi postali a Firenze e a Milano, un conto corrente postale, forse un numero di telefono … niente le ulteriori indagini non si fanno: l’IP dei computer non vale nulla …

CANZANO 8– Forse però l’IP del computer non è sufficiente, esistono dei margini di errore

MOFFA – Forse sì, senonché, uno, non si capisce perché non provarci ed escluderlo invece a priori; due e soprattutto, un giorno apro TG1 mattina e vedo un funzionario di polizia che racconta della scoperta e arresto di una banda di pedofili attraverso l’IP del computer. E allora? Due pesi e due misure: se quella banda fosse appartenuta ad un giro forte, non è da escludere che un altro funzionario avrebbe teorizzato il contrario. Ma attenzione, anche se così fosse, dovrebbe essere compito del legislatore esaminare attentamente la questione, e fare in modo di impedire – anche con convinzioni internazionali, e con oscuramento dei server fuori regola – che la rete continui a vivere nell’anonimato, senza possibilità di identificare chi di volta in volta, caso per caso la utilizza. Senza limiti, come è senza limiti la fantasia informatica degli hacker: cito al proposito un caso, nel sito della mia università, Teramo, la mia casella postale …

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