Su una popolazione mondiale di sette miliardi di abitanti abbiamo ben 870 milioni che non mangiano a sufficienza. In pratica, una persona su otto va ogni sera a letto con la fame. Inoltre, nei paesi in via di sviluppo, un terzo di tutte le morti infantili dei bambini sotto i cinque anni d’età è legata al fenomeno della malnutrizione. E’ stato poi calcolato che in Europa le persone a rischio fame sono circa 55 milioni. E in Italia?
Secondo dati Istat, il 29,9% degli italiani è a rischio povertà o esclusione sociale. Nel 2013 quasi 10 milioni non sono riusciti a procurarsi un pasto proteico adeguato. Per la Coldiretti i poveri che nel 2013 sono stati costretti a chiedere aiuto per il cibo in Italia sono stati 4.068.250, tra cui 428.587 bambini con meno di 5 anni e 578.583 over 65 anni.
Sono dati drammatici. E per fortuna ci sono gli enti assistenziali come le ONG, Emergency, Croce Rossa Italiana, gli Istituti religiosi o vicino alla chiesa (tipo Caritas o la Comunità dio Sant’Egidio) ad ovviare, in parte, a questa tragedia. Ma è giusto che lo Stato deleghi prevalentemente, se non esclusivamente, agli Istituti religiosi e assistenziali la soluzione di questa autentica tragedia sociale, limitandosi a dare dei contributi pubblici?
Di cose da fare subito ci sarebbero, invece, tante. Esempio: prevedere una capillare distribuzione del cibo scartato solo per motivi estetici o in scadenza (circa il 16%); incentivare le produzioni agricole locali; incentivare fiscalmente le aziende o super mercati disponibili a distribuire bonus alimentari ai più poveri; utilizzare meglio i fondi sociali europei; prevedere la nascita di mense pubbliche finanziate con il 5 per mille. Quello che è certo è che chi ha fame non può aspettare. E pensare che già due mila anni con l’Annona, l’Antica Roma aveva dato un grande esempio di assistenza pubblica nella lotta alla fame.
Rainero Schembri
Direttore Responsabile
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