Sergio Romano, nella sua risposta alla signora Veronica Tussi sul sacerdozio negato alle donne (Corriere della Sera del 14 marzo), scrive, tra l’altro: “Esistono tuttavia altre riserve e obiezioni, anche se quasi mai esplicitamente confessate. Vi sono ancora settori importanti della Chiesa romana in cui la donna è considerata più vulnerabile e meno affidabile dell’uomo, meno capace di un impegno totale al servizio della fede. È facile replicare che la storia della Chiesa può annoverare una lunga sequenza di eroine della santità, da Santa Caterina a Suora Teresa di Calcutta, e che molte di esse non hanno esitato a levare la loro voce contro le autorità ecclesiastiche del loro tempo. Ma il pregiudizio persiste… “. Affermazione grave e offensiva verso le donne, che se vera, renderebbe maggiormente colpevole la Chiesa in questa sua ostinazione a negare il sacerdozio alle donne. In realtà, credo che le ragioni, confessate o non confessate, addotte dalla Chiesa, siano solo dei pretesti. La ragione vera è la medesima che ha spinto recentemente i nostri parlamentari a votare contro le quote rose nella legge elettorale: non si vuole dividere il potere con le donne. Ma non perché qualcuno ancora oggi ritenga le donne inferiori all’uomo, bensì semplicemente perché sono donne. Il maschilismo, che impera ancora nella nostra società, è preponderante nella Chiesa.
Renato Pierri