UNA E INDIVISIBILE?

L’onesto compromesso della politica italiana si regge, da sempre, sui tempi. Fare qualcosa e nel frattempo dar spazio ad altri di fare altro. Non si saprebbe leggere altrimenti la strategia di Matteo Renzi, nell’accorpare, in un’unica (e disordinata) tavolata, la legge elettorale, la trasformazione (ormai: non più abolizione) del Senato e la riforma del Titolo V della Costituzione.
Soprattutto quest’ultimo aspetto, svelerebbe, in realtà, un lato problematico, se non quando preoccupante. Quando il centro-sinistra varò una larga riforma delle stesse disposizioni, con un percorso già allora accidentato e in grado di produrre un testo ben più “caotico” di come non fosse già giunto alla discussione, l’ambizione aveva un taglio essenzialmente economicistico: alleggerire lo Stato, razionalizzare i costi e le competenze. Oltre dieci anni dopo, siamo allo stesso punto. Si è riscontrato come le regioni stiano davvero largheggiando, con performance, comunque sia, pessima (alta spesa e indebitamento, “dispersione” dei servizi). E, allora, “far tornare qualcosina anche allo Stato” (Matteo Renzi) sembra un’operazione di recupero di almeno quei settori dove l’azione regionale è stata più deficitaria e dove, probabilmente, già nel 2001 sembrava mal coordinato il passaggio di competenze. Se la discussione si arrestasse a questo, non vi sarebbe nulla da eccepire. Ma il diavolo della “mala legislazione” sta nei dettagli (del “gioco” parlamentare): non allarga gli argomenti, ma li mischia e pasticcia; fa clamore su aspetti divisivi e silenziosamente manda avanti le norme più opinabili; non si pone al servizio della partecipazione, ma cerca di schermarsi da essa.
Ecco perché vale proprio la pena di tornare a legger qualcosa che spieghi cosa possano voler dire le dinamiche del federalismo in Italia, con quali soluzioni e quali risvolti applicativi: quei problemi fattuali che fanno gridare alla disdetta le anime belle e che, invece, un prudente uso di razionalità giuridica saprebbe prevedere senza troppi allarmismi.
Il riferimento in questo caso è al nutrito lavoro di Walter Nocito, “Dinamiche del regionalismo italiano ed esigenze unitarie” (Milano, 2011), ancor più utile oggi, quando si cerca di rimaneggiare completamente i temi e le discipline su cui rifletteva, appena ieri l’altro, Nocito.
Tanto per cominciare, piace che l’autore sappia dare viva voce a chi meglio ha studiato i rapporti tra governo e territori, subordinandoli a principi ed istanze valoriali più che ad obiettivi contabili (che meglio si raggiungono solo allorché sia chiara la ratio complessiva che si vuole perseguire): Fraenkel, Sassen, Stern, Friedrich, Schefold. Pagine che sul frenetico crinale Germania/Stati Uniti spiegano virtù (e rischi, senza reticenze) di un modello organizzativo tipicamente federale.
E il libro si rivela ottimo prontuario di tutte quelle volte in cui, negli ultimi tre decenni, la via italiana alla riforma federale è parsa più insieme di proclami per una governance in cerca di idee, che non meditata riflessione sulla “manutenzione” delle istituzioni giuridiche e, come piace dire all’autore, sulla “riforma dello Stato” e sulle “trasformazioni della politica”.
Non sono pochi gli spunti che sorprendono in attualità: temi apparentemente di nicchia, nel momento in cui l’autore li fissava su carta, e progressivamente argomenti di largo respiro e di eminente centralità, oggi. Dalla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, sul modello tedesco, alla riflessione sulla mancata/errata attuazione della novella costituzionale; dall’implementazione del contenzioso (essa stessa fonte di spesa e prevedibile controindicazione del “riformismo senza riforme”) al dibattito sui limiti alla revisione costituzionale.
Una lettura che ben protegge, insomma, dalla “bolla speculativa” delle tante frasi ad effetto che si sentiranno nei prossimi mesi.

Domenico Bilotti

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