Rotary Club “Taranto Magna Grecia”. Brillante conferenza della prof. Josè Minervini sull’affascinante storia di Maria d’Enghien

Josè Minervini, una professoressa in gran forma, ha incantato giorni fa i soci del Rotary Club “Taranto Magna Grecia” narrando l’affascinante storia di Maria d’Enghien, l’eroina tarantina quattrocentesca, moglie e poi vedova del principe di Taranto, Raimondello del Balzo Orsini.

Josè Minervini è stata presentata ai soci dal presidente del Club, il vecchio amico e collega del Corriere del Giorno, Antonio Biella, ed è stato un piacevole riallacciare di antichi e affettuosi rapporti ed eterne reciproche stime.

Biella (cataldiano, fedele membro degli scout italiani e già direttore del “Corriere del Giorno”) ha poi messo in evidenza l’importanza del ruolo rivestito, nel mondo culturale tarantino, dalla docente di liceo, giornalista e scrittrice Minervini (autrice fra l’altro di “Poeta che mi guidi” – Scorpione Editore; “Di Tares i canti” – Scorpione Editore; e del 1° e 2° volume di “Pagine di città. Immagini inedite delle famiglie tarantine – Edizioni Coop. 19 Luglio, Corriere del Giorno).

La Minervini, che abbiamo apprezzato come relatrice anche in tante altre manifestazioni culturali, con la sua nota competenza e rigore di ricercatrice, unite alla sua passione espositiva, ha proprio “incanto” l’uditorio narrando la vita, gli amori, le avventure e le disgrazie di Maria d’Enghien, donna che illuminò le ultime propaggini del medioevo nel Mezzogiorno d’Italia.

La storia di Maria d’Enghien è ormai nota ai più. La giovane e bella contessina di Lecce, ma di origini francesi, fu data in sposa, appena 17enne, al nobile Raimondello del Balzo Orsini, giovane di belle speranze e di bell’aspetto, ma soprattutto spregiudicato. Tanto da far dire alla relatrice che con Raimondello (sì proprio quello della Cittadella e della Torre a Porta Napoli abbattuti alla fine dell’ ‘800 dai superficiali tarantini) finisce la cavalleria e si entra quasi – ma questo pensiero è nostro – nell’Italia repubblicana dove il cambio di casacca è giudicato sport di moda. Raimondello, infatti, porta le sue armi a servizio di vari padroni finchè indovina quello giusto che lo premia concedendogli il Principato di Taranto. Un piccolo regno che però presto si espande a quasi tutta la Puglia e a un pezzo di Basilicata, tanto da impensierire il re di Napoli, Ladislao di Durazzo, che nel 1406, per evitare sorprese, muove verso Taranto in assetto di guerra. Proprio mentre il re marcia verso la nostra città, Raimondello muore nella vicina San Giorgio. Per evitare il panico tra il popolo, Maria indossa le armi del marito e si mostra in pubblico: la città non è senza guida. Ladislao si accampa davanti a Santa Maria della Giustizia (tra il quartiere Croce e la raffineria) ma quando tenta con sicumera di attaccare la città, viene respinto dagli arcieri tarantini, abilissimi non perché dediti alla guerra, ma alla caccia.

Il re di Napoli torna l’anno successivo ad assediare Taranto ma stavolta con un esercito vero. La città capisce che prima o poi dovrà soccombere; molti alleati (primi fra tutti i martinesi) tradiscono; Maria d’Enghien medita sul da farsi. Ladislao, non volendo perdere tempo, propone a Maria il matrimonio. La vedova del Balzo, da saggia politica, pone una serie di condizioni: di essere trattata come regina ; di tenere con sé i quattro figli avuti da Raimondello; di affrancare Taranto dal saccheggio e dalla distruzione. Il re firma tutto ed entra in città accolto da Maria in armi. Pochi giorni dopo, il 23 aprile 1407, i due si sposeranno nella cappella di S. Leonardo al Castello.

Poi Maria fu inviata a Napoli e, praticamente, imprigionata con i figli in Castel Novo. Sette anni dopo, alla morte di Ladislao, la principessa di Taranto venne rimandata a Lecce dalla regina Giovanna II che, dopo qualche anno, concesse al primogenito di Raimondello e Maria, Giannantonio, quel Principato di Taranto che era stato prima del padre e poi, come reggente, della madre. Tornata ad essere contessa di Lecce, Maria spese i suoi ultimi anni governando saggiamente e scrivendo gli Statuti, un importante trattato sull’amministrazione della giustizia.

Alla fine della sua tanta apprezzata relazione, la prof.ssa Minervini ha ricevuto un “piatto ricordo” che gli è stato consegnato dal dott. Antonio Biella, come vediamo nella foto qui pubblicata.

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