Per chi è lontano dall’Italia, i nostri “problemi” non sembrano, poi, tanto irrisolvibili. Quando si scrive d’economia, anche se solo a livello informativo, si pensa subito ad un complesso rapporto tra produttività e consumi. Forse, di non facile interpretazione. In realtà, molti dei nostri problemi si possono ben paragonare ad un più ampio esame di un bilancio economico familiare. Se non si cambia “registro”, la situazione resterà al di fuori dei parametri fisiologici di uno Stato membro dell’UE. Dopo una diffusa contrazione a livello produttivo, oggi s’evidenzia una pericolosa stasi che ci preoccupa assai di più di quanto si possa recepire da oltre frontiera. L’inverno, da poco iniziato, evidenzia tutte le mancanze di un sistema che ha radici profonde anche sotto il profilo politico. Proprio quello meno gestibile con l’esame dei “numeri”. Dati i minori introiti, anche il potere d’acquisto di chi ancora lavora è precipitato. Insomma, non è più sola questione di “capitale”, ma anche di sfiducia negli investimenti. Il tutto si traduce in un calo d’affidabilità per chi gestisce il Paese. A nostro avviso, da troppo tempo i problemi economici d’Italia hanno preso la via di una gestione opportunista di beni che, invece, dovrebbero essere di più agevole uso. Così se i cicli produttivi sono stati ridimensionati e la disoccupazione è aumentata, non è facile fare delle previsioni su come potrà essere coordinata questa “crisi” che ci portiamo sulle spalle già da qualche anno e che sembra aver raggiunto la sua acme proprio nel biennio 2011/2013. Dato che ogni effetto ha una sua causa, sarebbe opportuno verificare non solo la successione degli errori, ma anche i comportamenti di chi non ha saputo gestire una situazione tanto variegata e complessa. Le possibilità di ripresa, almeno per ora, non ci sono. Anche perché il rinnovamento socio/politico non s’è verificato. Perseverare con le promesse significa cronicizzate gli aspetti più tangibili di una situazione che ha messo in ginocchio il Paese. Cure miracolose non ce ne sono. Invertire la tendenza resta difficile e, in ogni caso, possibile solo in tempi lunghi. L’Italia, pur essendo membro veterano dell’Unione Europea, non è nelle condizioni di reggere il confronto con gli altri Stati membri. Ovviamente, ci riferiamo a quelli che “contano” e non a quelli che sono in UE per opportunità politiche, più che economiche. Per ridare al Paese il ruolo che gli spetta a livello internazionale non si può punire la redditività. Solo investendo in lavoro si potrebbe recuperare, col tempo, parte delle occasioni perdute. Certo è che ogni prospettiva di miglioramento non avrebbe senso se non sono favoriti gli investimenti e la liquidità monetaria. Essere una parte di un tutto ha senso solo se di quel tutto s’è parte attiva. Per ridare fiducia, sarebbe necessario trattare i nostri problemi economici fuori della sfera dell’influenza politica. Per essere obiettivi, dobbiamo riconoscere che da noi s’è smarrito l’impegno d’essere più che sembrare. Ravvisare d’aver sbagliato non è molto, ma sarebbe sempre un primo segnale coerente per tentare di risalire la china. Resta che non è col senno del poi che si potrà intraprendere il percorso per recuperare il Paese. L’economia nazionale rispecchia, a tutto campo, l’incoerenza di una classe politica che l’ha gestita. Cambiare è possibile. Basta volerlo propriamente.
Giorgio Brignola