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Forconi alle spalle

La Legge di stabilità arranca e slitta, perché i testi da mettere assieme sono contradditore e le spinte numerose e centrifughe.
Letta allunga al 2015 i tempi per la crescita ed a Roma si radunano 15.000 “forconi” duri e puri che stanno invadendo Piazza del Popolo, mentre i “dialoganti” si recheranno a Piazza S. Pietro domenica, sperando nell’ascolto del Papa.
Il variegato fronte della contestazione partita lo scorso 9 dicembre si è via via sgranato e articolato, differenziandosi in diverse posizioni. Era prevedibile, ha riferito oggi al Copasir il direttore del Dis Giampiero Massolo, visto che il movimento fin dall’inizio aveva tante anime che in molti cercano di cavalcare per portare avanti le proprie rivendicazioni.
Ma il messaggio avverso alla politica è molto evidente, come anche il superamento della misura in fatto di sopportazione che serpeggia nella societè stanca di promesse, tasse ed attese.
Quelli scesi in piazza, ma probabilmente tutti quelli ancora più numerosi che li sostengono a distanza, vengono dal rabbioso veleno di questi anni sciagurati, respirato ogni giorno ed ormai entrato nella fibra del corpo sociale della nazione. I “forconi” rendono evidente la profondità e la diffusione della malattia che logora l’Italia. Una malattia sociale: il drastico peggioramento delle condizioni materiali di larga parte di italiani, l’incubo per altrettanti italiani di un futuro di disperazione.
Ma anche una malattia morale: lo sbriciolarsi del senso della coesione comunitaria, la sensazione , angosciante, di essere soli e di non avere strutture di riferimento, una montante avversione verso chiunque rappresenti ricchezza e potere, una disponibilità a recepire ed a diffondere messaggi di contrapposizione estrema. E anche una malattia del sistema politico, che di sicuro ha contribuito e contribuisce ad incrementare la malattia: partiti e sindacati che non sanno più parlare alla gente, che non ne intendono i drammi, che non ne avvertono la disperazione, che parlano un’altra lingua e sembrano stare in un altro mondo.
E c’è già chi dice che la loro discesa in piazza ha creato un cambiamento sostanziale nella politica che, per esempio, avrebbe portato all’epocale no al finanziamento pubblico dei partiti, che, dopo il referendum del 1978 ed il quorum non raggiunto nel 2000, è stato cambiato di etichetta con la dicitura di rimborsi elettorali: soldi pubblici che ciascuno riceve come rimborso spese, in proporzione ai consensi ottenuti.
La materia, dal punto di vista morale e pratico (le due cose non possono essere disgiunte), è molto complessa. Nessuno garantisce che la deregolamentazione del finanziamento non possa essere più dannoso di un regime che, tutto sommato, può essere controllato: quello del due per mille. Anche ragionando nell’ottica, che alcuni rifiutano tout court, che la Politica ha i suoi costi come ogni attività umana, si rende necessario sottrarre al controllo dei Partiti somme ingenti di denaro che, per il semplice fatto di aver avuto un certo numero di voti i partiti stessi hanno, fino ad ieri, facoltà di spendere e spandere senza dar conto preventivo. Non ci sembra giustificabile, in tale ottica, l’obiezione che il due per mille, facoltativamente destinato dai Cittadini nella dichiarazione dei redditi, siano soldi sottratti allo Stato. Sono soldi che comunque lo Stato controlla.
Ed allora la trovata è quella si dire sì al cittadino arrabbiato, ma di rinviarne l’attuazione al 2017, ad altri politiche e a future legislature.
I “forchoni” (ed altri svariati milioni di italiani, con una famiglia su tre sotto il livello di povertà) si sono stancati di promesse affidate alle buone intenzioni del domani e voglioni segni concreti subito e non continue tassazioni per onorare gli impegni presi con l’Europa, con un bel niente nella direzione del bisogno dei Cittadini ed invece approvazione di tutto ciò che va nella direzione opposta.
E non si tratta di essere antieuropei né tantameno ottusamente anti moneta unica, ma di ricordare che primna di quelli comuni vanno risolti i problemi interni che continuano ad essere lavoro, innovazione, infrastrutture e cultura.
Su il Fatto Quotidiano, alcune settimane fa, si critcava il governo Letta che con il bando “500 giovani per la cultura” , pubblicato il 6 dicembre, aveva promesso l’insultante cifra di Ccnquemila euro lordi l’anno per retribuire professionisti fino ai 35 anni di età laureati con 110 e lode cui sarà affidato il compito di digitalizzare l’immenso patrimonio culturale italiano, con un totale pari ad un terzo di quanto un parlamentare medio guadagna ogni mese, indipendentemente da qualificazione, laurea e voto.

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