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FRANCESCO FILIA, POETA. LA NEVE E NAPOLI

Chi conosce Francesco Filia, l’insegnante, ne identifica il passo fermo, mentre, spiegando ai suoi allievi di storia e di filosofia, come un leone in gabbia, percorre l’aula avanti e indietro. Non sta mai fermo: un giovane uomo che si misura coi suoi ragazzi e parla, tuttavia sereno, anche se in quel movimento vivace, dei tempi, dei luoghi di quanti fecero o disfecero la storia; di quanti tesserono filosofie complesse, da districare senza che la matassa, tuttavia, ne perda il filo.
Il professore Filia, è un poeta. No: non di quelli che immergono in rime baciate il loro sentimentalismo. Lui non bacia le rime, piuttosto le intreccia di pensieri complessi, che si lasciano scorgere, tra le righe, soltanto da chi davvero vuole farlo.
Francesco Filia vive e insegna a Napoli, dov’è nato nel 1973. Padre e marito. Non si può dimenticare il suo passo, stavolta tranquillo, ragionato, mentre stringe le mani delle sue bambine e le conduce a scuola, prima di recarvisi a sua volta:
-“Riconoscerai/ il tuo sguardo negli occhi di tua figlia, nel suo piangere/ e gioire ad ogni istante e saprai che non sei l’ultima cosa/ rimasta ma solo quel che non hai voluto, le impronte/ delle dita nella calce e uno sguardo di donna senza pace/ la linea severa della fronte e un sorriso appena accennato”.
L’infanzia che gli appartenne, visse anche il terremoto dell’80:- “Abbiamo imparato di nuovo a contare da zero/ ad avere un nuovo prima e dopo come fosse/ un’altra nascita di cristo come lo era stato prima/ il colera ola guerra, per chi se la ricordava”-
Cercando sempre quell’infanzia nei suoi “versi”, cui Giuseppe Carracchia attribuisce “competenza stilistica e capacità “lirica”, la ritroviamo in quei: “Tuffi ripetuti sempre più in alto e l’ultimo della sfida/ sospeso, tra paura e gloria. Rimarremo per sempre nell’attimo tra lo slancio e lo stacco/ del corpo dagli scogli”.
per la verità tutti noi, quando lasciamo le certezze dell’infanzia e ci lanciamo nella nostra vita da adulti, compiamo un po’ il tuffo verso “lo sconosciuto” che compie, eternamente il giovane uomo del dipinto del “Tuffatore di Paestum”.
Molti dei suoi scritti parlano di Napoli. Una città che il poeta, malgrado tutto, ama di un amore incompreso, un sentimento vicino alla sofferenza:- “La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista/ se non nella bocca a nord del vulcano/ nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia/che ricorda quel che non abbiamo temuto abbastanza/ ma il gelo quello s’, è dentro di noi fino alle ossa/ e lo sentiamo che morde le giunture…” – La neve, a Napoli, non è candida, soltanto per poco ci allieta, ci sembra volteggiare nell’aria come fatta di farfalle bianche, meravigliose, ma poi, affonda nel terreno e si tramuta in fango. Come i nostri sogni, che sprofondano nella realtà di una città da cui non ci stacchiamo, ma neanche ci protegge. Questo sembra si possa intuire da ciò che ci regala Francesco Filia nelle sue poesie. E tanto di altro, per chi vorrà cercarlo in esse.
L’autore è risultato vincitore della sezione inediti del premio Dario Bellezza (edizione 2001) e finalista di altri premi, tra cui Città di Tortona, per l’opera prima, nel 2008. Sue poesie sono apparse su varie riviste blog e riviste on.line) (La Clessidra, Capoverso, La Mosca di Milano, Poesia, Nazioneindiana, VDBD, Poiein, Poetrydream, Poetry Wave, Sagarana, Sinestesie eccc…) e tra le altre nelle antologie Subway, Poeti italiani Underground (a cura di Davide Rondoni e con l’introduzione di Milo De Angelis, Net, 2006) e Il miele del silenzio ( a cura di Giancarlo Pontiggia, Interlinea, 2009). Ha pubblicato il poema in frammenti “Il margine di una città”, con prefazione di raffaele Piazza e dieci tavole di Pasquale Coppola (Il Laboratorio 2008). Collabora con nell’occhiodelpavone.blogspo,it
Bianca Fasano

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