Un terribile sospetto (il vero segreto di Fatima?)

Riguardo alla predizione della morte prematura di Francesco e Giacinta, diversi elementi inducono a sospettare fortemente che qualcuno abbia contribuito all’avverarsi della profezia.
Quella funerea predizione, riferita da Lucia dopo la seconda apparizione (13 giugno 1917), oltre a essere molto grave, era ben costruita, per cui non si può escludere che l’avesse concepita un adulto. La predizione non veniva attribuita alla Signora della Cova come una sua comunicazione spontanea, bensì come risposta alla richiesta della pastorella di essere portata in cielo insieme ai cuginetti. Non annunciava la morte, ma il paradiso; inoltre non precisava con esattezza il momento della morte dei due pastorinhos.
Ma la predizione aveva anche dei punti deboli. Fu ideata in concomitanza con la seconda apparizione, benché già nella prima si fosse presentata l’occasione per quella domanda (considerata la disinvoltura di Lucia) e per quella risposta (considerata la logica perversa della bella Signora): quando la pastorella le domandò se lei e i due cuginetti sarebbero andati in paradiso. Quella prima volta la singolare Madonna della Cova – secondo quanto riferì poi Lucia – non solo non fece il minimo cenno alla funerea predizione ma, riguardo al piccolo Francesco, precisò che avrebbe dovuto recitare molti rosari, come per dire che ci sarebbe voluto molto altro tempo, prima che il pastorello potesse salire in cielo. Infatti Lucia, o chi la istruiva, se ne avvide, e nell’interrogatorio del giugno 1917 modificò la frase attribuita alla Signora: «Lui [Francesco] ha ancora da recitare il suo rosario».
A ogni modo, giacché è da escludere che la Madonna potesse indulgere nella crudeltà di annunciare a due bambini la loro morte precoce, bisogna dedurne che fu un’idea di Lucia o di qualche suo ignoto suggeritore.
Poiché è impossibile che la previsione, così circostanziata (la morte dei due fratellini e la sopravvivenza di Lucia), si sia puntualmente realizzata per pura casualità, ne consegue necessariamente che la morte di Francesco e Giacinta non fu dovuta tanto alla loro malattia, quanto all’esigenza di dare compimento – e dunque verosimiglianza – alla profezia della Signora dell’elce.
È un fatto che, delle profezie riferite da Lucia, la sola ad avverarsi è stata proprio quella che poteva essere determinata dalla volontà umana (non era altrettanto facile far finire guerre o farle iniziare un determinato giorno oppure far soffrire il papa). Inoltre, la sopravvivenza di Francesco e Giacinta avrebbe costituito la prova inconfutabile dell’inattendibilità della Madonna della Cova. Una volta che la profezia fu divulgata, la morte prematura dei due pastorelli di Aljustrel diventò una necessità, nell’interesse della Chiesa e probabilmente dello stesso Stato portoghese.
Morì per primo Francesco, e non si può escludere che sia stata data una mano alla “provvidenziale” epidemia detta “spagnola” che se lo portò via. Il pastorello, infatti, era riuscito a superare la fase acuta della malattia, tanto che aveva incominciato ad alzarsi dal letto, e faceva passeggiate alla Cova da Iria167. Se ben curato e sorvegliato, forse avrebbe potuto salvarsi. Probabilmente, a far morire il malinconico pastorinho bastò il fatto di averlo lasciato nella convinzione che la Madonna sarebbe venuta a prenderlo presto.
Ma soprattutto la triste vicenda degli ultimi giorni di Giacinta è permeata di ambiguità. Il canonico Formigão – che con tanta solerzia si era interessato dei tre pastorinhos durante le apparizioni alla Cova da Iria – aspettò che la pastorella, dopo essere scampata alla “spagnola”, trascorresse più di sei mesi gravemente malata (due mesi nell’ospedale di Vila Nova de Ourém e più di quattro a casa), prima di farla visitare dall’amico professor Enrique Lisboa: si temeva che morisse, o piuttosto che sopravvivesse?
Il professor Lisboa e il canonico Formigão, dopo aver molto insistito con la famiglia Marto per un urgente ricovero ospedaliero della bambina, anziché farla entrare in ospedale appena arrivata a Lisbona, la alloggiarono per più di dieci giorni (dal 21 gennaio al 2 febbraio 1920) nell’orfanotrofio di madre Godinho. Perché? Non c’era posto in ospedale per una bambina in gravissime condizioni? È ben strano che il rinomato medico della capitale e il suo illustre collega Castro Freire – uno dei più stimati pediatri portoghesi168 – al quale egli aveva raccomandato la pastorella, non riuscissero a trovarle un letto nell’ospedale dove entrambi lavoravano! E se il professore era a conoscenza delle difficoltà per un ricovero immediato della piccola malata, perché la fece allontanare dalla sua casa di Aljustrel in tutta fretta, per andare poi alla ricerca nella capitale di qualcuno disposto a ospitarla? Infine: se il canonico Formigão credeva alle apparizioni della Madonna alla Cova e quindi alla sua predizione di morte, perché non lasciò che Giacinta morisse nella sua casa, vicino ai familiari, anziché sottoporla a ulteriori inutili sofferenze? Oppure non credeva alle apparizioni e quindi alla predizione di morte e tacque nell’interesse della Chiesa portoghese? In tal caso, per il canonico la morte della bimba sarebbe stata preferibile alla sua sopravvivenza e il trasferimento a Lisbona era solo un mezzo per accelerare il suo viaggio verso il paradiso. Un favore alla Madonna e un favore alla piccola veggente.
Inutili e penosi viaggi, una straziante operazione chirurgica quando ormai non c’era più nulla da fare: Giacinta fu davvero martire, ma certamente non della Madonna.
Leggendo i passi che abbiamo riportato relativi a quanto riferì Lucia nella Prima memoria sulla sfortunata cugina, non si può fare a meno di provare una gran pena per la bimbetta ossessionata dalla sorte dei «poveri peccatori e dalla pena per il Santo Padre coitadinho», e una certa stizza verso chi avrebbe potuto aiutarla – come il colto canonico Formigão – e non lo fece. Nessuno disse mai a quei bambini ma soprattutto a Giacinta e Francesco – Lucia, per fortuna, era meno disposta al sacrificio inutile – che Gesù non ha mai chiesto ad alcuno sacrifici per i peccatori, e che sarebbe stato un peccatore se avesse chiesto a dei bambini sacrifici per i peccatori. I pastorelli ebbero la sfortuna d’incontrare la bella Signora dell’elce. Giacinta forse ebbe anche la sfortuna d’essere la cugina di Lucia. La Signora dell’elce (ovvero: la madre di Lucia, e Lucia, e il parroco) aveva messo in testa a Giacinta i poveri peccatori, ma chi le aveva messo in testa il povero “Santo Padre”, bisognoso di preghiere? Un sacerdote, uno dei tanti religiosi responsabili, oltre al canonico Formigão, della sorte dei pastorelli di Aljustrel. Nella Prima memoria Lucia racconta: «Vennero a interrogarci due sacerdoti che ci raccomandarono di pregare per il Santo Padre e i buoni sacerdoti spiegarono chi era e che aveva molto bisogno di preghiere. Giacinta fu così presa dall’amore per il Santo Padre, che ogni volta che offriva i suoi sacrifici a Gesù, aggiungeva: “… e per il Santo Padre”. Alla fine del Rosario recitava sempre tre avemarie per il Santo Padre e certe volte diceva: “Come mi piacerebbe vedere il Santo Padre! Viene qua tanta gente, ma il Santo Padre non viene mai qua”».
E il “Santo Padre”, per la sfortunata pastorella, come i peccatori, come il Cuore Immacolato di Maria, che magari – secondo lei – era qualcosa di diverso dalla Signora dell’elce e magari anche dalla Madonna, diventarono un’ossessione: «O mio Gesù, è per vostro amore, per la conversione dei peccatori, per il Santo Padre e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria!».
(1) Estratto da Nostra Signora di Fátima – La Madonna di un falso cristianesimo” (Mind edizioni), 2013, di Renato Pierri.

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