Social forum e nuova Tunisia

Da noi l’hanno chiamata la “rivoluzione dei gelsomini” ma sullo striscione
in testa al corteo d’apertura del Social Forum Mondiale c’era scritto, in
tutte le lingue, “Rivoluzione della dignità”.
E dignità insieme a libertà, diritti e giustizia sociale sono le parole più
ricorrenti nella marcia di inaugurazione del primo Forum svolto nel mondo
arabo. Il Forum Sociale Mondiale, il primo in terra araba è stato inaugurato
ufficialmente da una assemblea delle donne, che poneva il tema della “Donna
in lotta, contro il patriarcato dominante, le forme di fondamentalismo e
d’integralismo nel Maghreb”. Aprono il corteo le madri, le mogli e i figli
dei migranti scomparsi nel Mediterraneo e le famiglie dei prigionieri
politici ancora detenuti dopo la fine delle rivolte nell'area. Ognuna tiene
tra le braccia la foto di uno scomparso. Nel servizio d’ordine molte
giovani donne, cittadine di una società che rifiuta la riduzione della
donna da “pari all’uomo” a “complementare all’uomo”.La vedova di Chokri
Belaid leader dell'opposizione assassinato dagli oppositori al governo, nel
suo dignitoso silenziosa arriva ed entra nel corteo mentre intorno
risuonano fortissimi i richiami al leader democratico ucciso. Dietro, con il
popolo di Tunisi mescolato alle delegazioni e rappresentanze, scorrono i
protagonisti dei Forum, provenienti da ogni parte del mondo.
La delegazione italiana del Coordinamento per il social forum con in testa
lo striscione della CGIL con le sue categorie e strutture regionali
partecipanti con affiancato l’Istituto Fernando Santi e poi, Arci, Uisp,
Lega ambiente, ong ,associazioni di base, Cobas delegati della Fim, No Tav,
i missionari comboniani, per la prima volta al forum, e migliaia di
militanti e volontari arrivati a Tunisi in ordine sparso. La prima giornata
finisce con la sensazione che la società che ci ospita, diversamente da come
la si vede da Roma, ha ancora fortissime energie democratiche e che i
cambiamenti auspicati hanno ancora possibilità di essere realizzati.
Scorrendo i quotidiani di una stampa da poco abituata a maggiore libertà
cogli una cultura convinta del pluralismo, della autonomia del “politico”
rispetto al “religioso”.
Mi fa presente un brillante e colto politico tunisino laico, conversando in
un eccellente italiano, che i tunisini hanno una sincera religiosità
popolare che praticano ma che questa non ha nulla a che spartire con quella
dei fratelli mussulmani al governo con il partito Ennahda o peggio con
quella dei salafiti , ambedue finanziati da circoli politici conservatori
del Quatar. I salafiti ( parola d’ordine sentita nel corteo di chiusura
“arabìa, sharia, salafia”) hanno avvertito: “o vinciamo le elezioni prossime
o sarà guerriglia”. I laici più intransingenti e decisivi, a loro volta, lo
dicono ad alta voce nei seminari del social forum : “salafiti come
fascisti”.
Qualcuno in Tunisia, per ridurre il peso della componente politica che vuole
la sharia legge dello stato, in queste ore sta pensando a come politicamente
rilegittimare tutta quella parte, non marginale di lavoratori, in specie
operatori dei settori pubblici che davano il consenso a Ben Ali’ e che però
non è stata responsabile di atti gravi che invece sono imputati a d’altri. A
sentire, sembra il ragionamento di Togliatti che propone l’amnistia per i
fascisti per la pacificazione nazionale.
E così che si riuscirà a vincere la sfida democratica nel solco delle
regole democratiche del parlamentarismo (con la sordina però a parte
dell’arcipelago della sinistra ed al cambiamento più profondo che molti, ma
non hanno una maggioranza, auspicano) oppure la Tunisia dovrà aggiungere ai
problemi gravi emersi dalla transizione irrisolta anche il rischio di un
intervento armato dell’Algeria, già reso noto, in caso di vittoria dei
salafiti?
In migliaia seguiamo i seminari, gli incontri, le molte iniziative che, come
da calendario, si svolgono nel Campus universitario “Al Manhar”. Lo sforzo
organizzativo è stato notevole e si vede dal livello di cortese attenzione
di tantissimi studenti, giovani donne e uomini, aperti, interessati che,
volontari, coprono diversi servizi di sostegno ai partecipanti con una
capacità d’accogliere e di ascolto fortissime. Fra i giovani c’è voglia di
costruire una nuova giustizia sociale ed ambientale, di pace, di diritti
sociali ed umani.
Quattro ragazze col velo integrale, il Niqab, spalleggiate da studenti con
la barba, aprono nei vialetti del Campus discussioni molto animate con altri
tunisini. Voci alte e volti accesi degli uomini ma senza passare a vie di
fatto- La tecnica fa ricordare quella dei noti “agit- prop” comunisti che
negli anni ’50 davanti ed all’interno della Galleria Colonna (ora A. Sordi)
si misuravano con gli avversari per suscitare attenzione e consenso da chi,
ed erano molti, si fermava ad ascoltare. Secondo alcuni da 30 giorni stanno
tenendo al Campus un sit- in perché vogliono il diritto di frequentare i
corsi e di dare gli esami col velo integrale.
Una di queste, dalla voce giovanissima, incerta, la vediamo apparire di
pomeriggio con un accompagnatore anziano ed alcuni giovanissimi con la
barba, al convegno per uno spazio euromediterraneo condiviso, promosso da
Mimmo Rizzieri.. Chiedono la parola, presa prima dalla persona anziana
dall’aria di funzionario politico e poi ceduta, dopo un intervento nel
quale argomenta sul fatto che i salafiti non sono estremisti, vogliono
l’unità di tutti i tunisini e rispettano le donne, alla giovane la quale,
tranne gli occhi, coperta dalla testa ai piedi, mani comprese con panno
nero rivendica il diritto a fare i suoi esami coperta dal niqab.
“Noi – dive la giovane- non vogliamo imporre il Niqab a nessuno, il suo uso
è una mia libera scelta”.
Alla domanda se ritenga giusto modificare, come vorrebbero i salafiti, la
costituzione cancellando la parità fra uomo e donna la giovane risponde che
non si può metter sullo stesso piano un bambino di 8 anni con una persona
adulta di 40 anni. Eloquente ed illuminante.
Il “siparietto” politico propagandistico al quale mi sono trovato davanti
potrebbe pure essere ricondotto ad una dei tentativi di comunicazione e
presenza dei salafiti al Forum che, invece, ha fatto da oggettiva
amplificazione delle ragioni dei democratici e dei progressisti tunisini, se
non avessi letto qualche giorno prima del rischio molto concreto di una
condanna a sette anni per il Habib Kazdaghli, storico tunisino nonché
preside della Facoltà di Lettere, Arti e Scienze Umane dell’università
Manouba di Tunisi.
Il preside, dopo diversi tentativi di trovare soluzioni alternative
pratiche tecniche alla richiesta di far accettare agli esami donne coperte
dal niqab ha eccepito le decisioni del Consiglio di facoltà ed ha fatto
riferimento alla sua pubblica responsabilità nell’attuazione delle regole
che la governano. E’ stato denunciato per ed ora rischia di incappare in
qualche magistrato pavido o indulgente che può condannarlo aprendo la strada
ad una università non più libera, indipendente e pluralistica ma ad un luogo
governato dalla sharia. La posta in gioco, i principi contestati sono così
importanti che penso che il mondo della scuola pubblica e privata italiana,
i lavoratori della scuola, dovrebbero far pervenire la loro protesta in
Tunisia. Tutti sanno che in Tunisia coloro che vogliono un paese a stampo
islamico sostengono l’uso di abiti religiosi anche nei luoghi pubblici, come
le università e gli uffici. Questo è stato proprio il punto della questione.
(vedi link: http://itunisi.wordpress.com/2012/10/25/lo-schiaffo-salafita/).
Tutti, di ogni parte del modo, siamo andati ai “nostri” seminari anche se
accanto ai temi in discussione, sin dall’inizio, si è aggiunto, non ultimo,
quello delle primavere arabe e di come dare loro sostegno. Quasi 50 workshop
e tre assemblee. Partendo dai contenuti dei singoli workshop sono stati
individuati alcuni macro-temi: libertà di circolazione e di permanenza,
auto-organizzazione dei migranti, migrazioni e crisi economica, diritti
fondamentali, migrazioni forzate, politiche migratorie, migrazioni e lavoro,
media e immigrazione, razzismo e non discriminazione, donne e migrazioni.
Tra le numerose iniziative ha avuto molta eco e partecipazione quella di
Sinistra per una cittadinanza euromediterranea che dopo il forum prenderà il
nome si solidarietà per una cittadinanza euromediterranea.
L’hanno promossa diverse associazioni in rete e l’hanno presentata insieme
Musacchio Dastoli e Rizzuti che hanno parlato del tentativo di creare uno
Spazio euro mediterraneo, di pensare nuove relazioni ed una piattaforma
comune capace di reciprocamente integrare l’Europa con la sponda araba del
mediterraneo.
Un social forum, che alla fine anche il governo ha accettato, ovunque
discute dei tempi della democrazia e del consolidamento democratico nel
Maghreb. Il diritto alla terra per la Palestina è l’altro, forte richiamo
che unifica poi tutti nella sfilata finale, l’ultimo giorno del Forum.
Immancabile ma da condannare la prassi di calpestare e dare fuoco alla
bandiera del popolo israeliano, questa volta messa in atto nel corteo da
alcuni giovani arabi, su una versione fotografica su cartoncino. Una cosa
per alcuni di noi partecipanti riprovevole, immatura ed anche ridicola.
Come ha scritto Paolo Hutter :” Certo, rimane inevasa la questione della
rappresentazione politica di queste idee e pratiche ma il movimento sta
maturando un’idea condivisa di mondo possibile e prima o poi qualcosa
accadrà. Ridare senso e vitalità ai processi democratici, favorendo un
rapporto sano con le istituzioni, deve essere il nostro obiettivo, senza mai
abbandonare l’idea che la politica è rappresentazione di pratiche concrete e
gestioni coraggiosa della complessità”.
Un altro mondo è possibile, lo riaffermiamo anche noi, tra i pochi
partecipanti riformatori di sinistra in una platea delle cento istanze
collocata spesso a sinistra o semplicemente oltre le storiche articolazioni
della politica che a noi sembrano anche oggi irrinunciabili.
Sembra apparirne convinta anche la Friederich Ebert Stittmung la fondazione
culturale della socialdemocratica tedesca SPD, molto attiva nel Social
Forum, certo meno apprezzata dalla maggior parte delle sigle partecipanti,
più convinte dei Piraten e di Siryza rispetto all’”usato sicuro” del
Partito del socialismo europeo.
Rino Giuliani vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi
(santinews)

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