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GRANDE DISTRIBUZIONE O GRANDE SACCHEGGIO?

Abbiamo intervistato Vincenzo Caprioli, saggista e fondatore dell'Iperlogica (www.iperlogica.it), che qui analizza il ruolo delle grandi catene commerciali nel contesto dell'economia italiana attuale.

Caprioli: “Certamente esiste una molteplicità di problemi su scala nazionale e la parola “crisi” ne condensa gli aspetti, ma ad una attenta analisi delle varie realtà regionali, fuori dall’ottica limitata degli economisti di fede mercatista, ciò che emerge è che di soldi ce ne sono ancora; purtroppo non entrano nei “circoli virtuosi” per finire invece prevalentemente al di fuori del territorio. Il “pompaggio” dei soldi della gente comune lo esercita anzitutto la grande distribuzione organizzata (GDO).
Essa, dopo aver monopolizzato i settori alimentari, abbigliamento, elettronica, arredamento, oggettistica, giardinaggio… oggi si attrezza per invadere quello farmaceutico, quello dei carburanti e addirittura il settore auto. Se si potesse convogliare l’enorme flusso di denaro rastrellato dalla grande distribuzione verso attività gestite sul territorio, si vivrebbe localmente una nuova ripresa economica, una ripresa vera, strutturale, non effimera. Bisogna inoltre sottolineare che le grandi catene sono organizzate per “evadere” la fiscalità dei singoli Paesi in maniera legale, proprio avvalendosi del loro carattere transnazionale.
L’esistenza stessa dei grandi market crea alla collettività un’enormità di problemi; tra questi è rilevante quello viabilistico perché abitua ad usare l’auto per ogni tipo di esigenza. Se i danni fatti dalla grande distribuzione sono in primo luogo a carico del territorio locale, dovrebbe essere l’autorità locale a prendere contromisure adeguate e pretendere contropartite durevoli.
La politica locale cosa può fare per ridurre l’impatto di questa ingombrante presenza, a parte smetterla col permettere ulteriori devastanti insediamenti?
La politica locale ha la forza di impedire che tonnellate di carta inutile venga vomitata dalla grande distribuzione nelle cassette postali aggravando il già critico problema rifiuti, oggi alla ribalta, e causando consumo di cellulosa, cioè alberi in una qualche parte del mondo?
Altro aspetto che incide pesantemente sui rifiuti è l’uso, presso la grande distribuzione, di imballare anche il più piccolo prodotto. Ciò ha moltiplicato i rifiuti, soprattutto la componente delle plastiche, ma i liberisti (Mario Monti e non solo lui) considerano i rifiuti una risorsa da trasformarsi nei termovalorizzatori in energia (e un poco di diossina). La politica nazionale ha almeno la forza di imporre alla grande distribuzione la commercializzazione preferenziale delle produzioni locali a beneficio di agricoltura, artigianato, industrie locali e loro dipendenti?
La politica locale riesce ad imporre assunzioni dirette per i lavoratori dei centri commerciali? Riesce ad imporre contratti equi a tempo indeterminato? Ma soprattutto riesce a tutelare gli ormai esigui spazi imprenditoriali nel settore commerciale, affinché i giovani possano avviare attività autonome remunerative?
La risposta a tutte queste domande è purtroppo scontata; il rapporto tra centri commerciali e cittadinanza appare un rapporto di un mero sfruttamento, a parte qualche spicciolo speso per infrastrutture che “consumano” territorio (rotonde, svincoli, ecc.) e sui quali molti amministratori fanno la cresta.
Per tamponare problemi mai gestiti si arriva poi a pretendere dai cittadini che sopportino blocchi del traffico per eccesso di inquinamento, oppure una molto impegnativa raccolta differenziata dei rifiuti a fronte di una produzione assolutamente liberalizzata, per quantità e qualità, di ogni rifiuto. Se le politiche nazionali e locali non sono state in grado di impedire prima l’esagerata proliferazione dei market né ora di usarla per contrastare la crisi, rimane un’ultima domanda: cosa ce ne facciamo di queste politiche?
Il recente drastico cambiamento dello scenario politico apre delle prospettive sinora negate; ma fondamentale è la messa a fuoco dei problemi in termini di contenuto culturale, politicamente trasversale e tecnicamente ineccepibile. Un cambiamento totale dell'atteggiamento nei confronti della grande distribuzione è tra le cose in assoluto più urgenti di cui il Paese ha bisogno.
Le rivoluzioni a volte si fanno anche su piccola scala; se un singolo comune più o meno grande esprimesse una giunta ed un sindaco giusti, con le idee chiare, di cose buone se ne potrebbero fare molte. Bisogna accettare l’idea che il contesto nazione nel quale ci si muove è gravemente compromesso, che le banche (per come impostate attualmente) e i grandi market non sono affatto risorse bensì una presenza coloniale che letteralmente “asciuga” l'economia reale. L’economia deve ripartire dai rapporti tra le persone, che vanno rafforzati anche come scambio di prodotti e servizi, protetti e favoriti dal potere che tenda a ricreare da zero autentiche comunità”.

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