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Newsletter TerzaRepub​blica n.49 del 15 dicembre 2012

MONTI, IL CENTRO E LA SORTE DEL BIPOLARISMO ECCO COSA CI ASPETTIAMO DAL TECNICO DIVENTATO POLITICO

Monti ci sarà. Dopo il colpo di reni delle dimissioni annunciate a seguito del ritorno in campo di Berlusconi e la partecipazione al vertice del Ppe che lo ha incoronato rappresentante dei moderati e popolari in Italia al posto del fondatore del Pdl, sembra certo che il Professore ci sarà. Persino se dovesse optare, come lo ha “perentoriamente” consigliato D’Alema, per una candidatura al Quirinale – cosa resa complicata dal calendario che antepone prima la formazione del governo a quella del rinnovo della presidenza della Repubblica, salvo l’uscita anticipata di Napolitano – ci sarà, perché anche questa nomina assumerebbe, dopo l’endorsement europeo, un chiaro significato politico. Così, almeno, pare dopo gli ultimi avvenimenti, anche se il prolungato silenzio di Monti – non giustificato, per la piega che hanno preso le cose – non facilita la decrittatura delle sue intenzioni. Tuttavia, in attesa che l’interessato si pronunci – e qui vale la lettera-appello che Società Aperta si è permessa di inviargli in tempi non sospetti (TerzaRepubblica, 24 novembre 2012) – è comunque opportuno fin d’ora cercare di capire di che segno potrebbe essere il Monti politico e non più tecnico che dovesse eventualmente palesarsi sulla scena.

Ma per farlo occorre premettere il significato che il “centro” ha nella Seconda Repubblica. Sono ben quattro. Il primo è quello di essere un suffisso che ha consentito a sinistra e destra, definendosi centro-sinistra e centro-destra, di costruire il bipolarismo contendendosi gli elettori non preventivamente schierati. Il secondo significato è quello che ha interpretato l’Udc negli ultimi anni: essere alternativa ai due poli, stando fuori dall’uno e dall’altro esprimendo la critica allo schema politico della contrapposizione permanente. Ruolo che è stato prezioso ma che non può prorogarsi in eterno, visto che l’obiettivo di rompere il bipolarismo o si realizza oppure salta chi lo persegue. Il terzo e quarto significato sono due variabili del secondo: il centro terzista che, perdendo la sua battaglia si fa riassorbire da uno dei due poli (ovviamente da quello vincitore); il centro terzista che vince e diventa il perno del sistema politico, alleandosi da posizioni di forza con uno dei due poli, con entrambi o con pezzi di essi. Ecco, essendo esaurita la funziona storica che il centro ha avuto nel primo e nel secondo caso, ora il “nuovo centro” che adotta (o intende adottare) Monti come candidato premier, non può che essere la terza o la quarta delle quattro versioni proposte. Quale sarà quello dell’era Monti? Naturalmente, in mancanza di chiarezza sulle reali intenzioni dell’attuale presidente del Consiglio, e di conseguenza senza sapere quale sarà l’offerta politica che gli elettori avranno a disposizione, è difficile per non dire impossibile indovinare. Diciamo che molto dipende da come e quanto il Professore vorrà spendersi. Se si tratta di una semplice operazione di franchising per cui una o più liste potranno usare il suo nome ma l’interessato si terrà fuori dalla contesa, presumibilmente l’effetto elettorale sarà modesto e il “centro dell’agenda Monti” non potrà che essere del “terzo tipo”.

Invece, se Monti si spenderà direttamente, e ancor più se si candiderà alla Camera o, meglio, se rinuncerà al seggio di senatore a vita – le due cose sono fattibili, nonostante qualche parere di segno opposto che circola in ambienti quirinalizi – allora le chances di successo saranno molto maggiori e saremmo quindi nella quarta ipotesi. Ma non è solo questa la discriminante. Dipende anche e soprattutto da quali forze Monti dovesse mettere insieme intorno a lui. Perché un conto è irrobustire il centro con innesti vari, specie se provenienti da entrambi i poli, e altro è capeggiare – come gli ha proposto il Cavaliere, seppure in mezzo ad altri mille discorsi contraddittori – una lista di centro-destra con il Pdl (o comunque Berlusconi) come condomino dotato di molti millesimi. Il risultato sarebbe opposto: nel primo caso avremmo un centro terzista che si propone di rompere il gioco bipolare o comunque di ridurne il peso, nel secondo saremmo di fronte alla riorganizzazione del polo di centro-destra – per carità, salutare, ma pur sempre una riedizione del già fallito bipolarismo – in vigenza però di un sistema politico che impedisce la formazione di “larghe intese”.

Si dirà: ma il Pdl potrebbe spaccarsi in due o tre tronconi, e uno di questi (quello formato da esponenti di Cl ed ex socialisti, ma anche da Alemanno ed altri ex An) potrebbe costituire un asse con Casini-Fini-Montezemolo che potrebbe essere l’azionista di riferimento del rassemblement montiano. Già, ma l’elemento discriminante rimarrebbe la partecipazione di Berlusconi: se c’è lui con una lista fatta da lui – ricordiamoci che con questa legge elettorale il prossimo sarà ancora un parlamento di nominati – sarebbe impossibile definire solo centrista (almeno nel significato di anti-bipolare) quella aggregazione politica. Al contrario, se il Cavaliere fosse tenuto fuori dalla porta.

Insomma, Monti non ha solo da sciogliere la riserva sul se intende o meno concorrere al voto, ma deve anche decidere come farlo nel caso propenda per ascoltare i consigli della signora Merkel (attenzione, però, a Sarkozy la sponsorizzazione tedesca ha portato male). Il nostro consiglio – non richiesto – è quello di non dimenticarsi che la prima e principale positività del suo governo è stata quella di rappresentare una discontinuità rispetto al bipolarismo italico, e che quella non deve restare una parentesi ma diventare l’inizio di una nuova storia politica nazionale. Insomma, Monti ci dovrà dire se vuole perpetuare la Seconda Repubblica o se vuole finalmente aprire la Terza mettendoci il suo sigillo. Una bella responsabilità, signor Presidente.


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