“Magia Nera”

di Marjorie Bowen

“Magia nera” (Gargoyle Books, 2011) è uno di quei romanzi che non ti aspetti. Scritto da una donna, Gabrielle Margaret Vere Campbell, che però si firma con lo pseudonimo Marjorie Bowen, e pubblicato nel 1909, anticipa di quasi mezzo secolo quel filone mistico-magico che dal secondo dopoguerra in avanti ha goduto in Occidente di grande fortuna. Il romanzo, caratterizzato da una efficace ambientazione medioevale, ruota attorno al rapporto conflittuale, e apparentemente ambiguo, tra i due protagonisti, Dirk e Thierry, uniti dalla comune passione per le cosiddette arti magiche oscure. Il ritmo della scrittura è frenetico e si ciba di una serie di bellissimi personaggi secondari, su tutti quello di San Bernardo, che inducono a una lettura “tutta di un fiato” le oltre trecento pagine di quest’opera. Opera che ha tra l’altro anche il merito di riproporre finalmente al pubblico italiano un’autrice fin troppo trascurata nel nostro paese.
L’intreccio potrebbe essere banalmente ricondotto a una storia d’amore. In realtà c’è poco di banale, qui l’amore non è un misero espediente da paperback ma, addirittura, lo strumento decisivo per le sorti dell’eterno scontro tra male e bene. Uno scontro però dove le parti in gioco spesso si scambiano di ruolo, mettendo in discussione quella linea di confine che dovrebbe separare queste due componenti dell’animo umano. Del resto l’amore in questo romanzo è concepito nel suo significato più esteso – e forse, per certi aspetti, “laicamente religioso” – di luce (e quindi anche del suo opposto, ossia di tenebra), una luce dalla quale Dirk e Thierry cercano continuamente di allontanarsi, malgrado Thierry, spinto dai rimorsi e dall’incontro con una “dama cortese”, sia più volte sul punto di cedere ai suoi iniziali propositi. Ma a ogni crisi esistenziale di Thierry, rispondono, confortanti, le parole di Dirk che riescono sempre a riportare l’amico dalla sua parte, grazie anche a un incredibile magnetismo diabolico, degno di uno spirito mefistofelico di boitiana memoria, “che nega/ Sempre tutto: l’astro, il fior…/ Il mio ghigno e la mia bega/ Turban gli ozi al Creator” (“Mefistofele”, atto I, scena II).
In tal modo, si alternano tutta una serie di sentimenti che nascono, sopiscono e poi si riaccendono improvvisamente, e conducono il lettore a un sorprendente finale. Quasi a confermare quel monito che Dirk richiama all’inizio della storia, “se non lo tocchi, il bosco vive per sempre, ma se lo incendi brucerà fino alla fine” (p. 53).

Roberto Colonna

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